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Venezia 2019 | Di pagliacci, ballerine e marinai

7 Settembre 2019 di M.I.G.L.I.O.

«E quindi, che festival di Venezia è stato?» chiedono amici e genitori. «Di che film parleremo nei prossimi mesi e su cosa ci accapiglieremo con furore?» mi scrive un compagno bocciofilo. E allora eccolo qua, il pezzo di servizio che fa al caso vostro.

Per aprire il festival quest’anno è stato scelto Le verità di Kore’eda Hirokazu. A poco più di un anno dalla vittoria della Palma d’oro con Un affare di famiglia, il regista giapponese ha radunato un cast di stelle (Catherine Deneuve, Juliette Binoche, Ethan Hawke) e ha girato il suo primo film fuori dal proprio paese. È un altro ritratto di famiglia in agrodolce, in cui emergono lentamente (presunte) verità taciute troppo a lungo. Il film è piaciuto a molti, ma nessuno ha gridato al capolavoro.

Molto più divisivo, ma destinato probabilmente a sbancare il box office, è Joker, in cui Joaquin Phoenix interpreta il folle pagliaccio che si trasforma nel nemico pubblico n. 1 di Gotham City. Per essere un cinecomic, pare che sia piuttosto serioso, forse sulla scia dei Batman di Nolan. È infatti uno «studio sul personaggio», più che un’infinita sequenza di esplosioni e inseguimenti, ed è soprattutto una storia di emarginazione e ribellione sociale. Una parte della stampa mainstream spinge fortissimo il film, che sicuramente dirà la sua agli Oscar. Molte voci si sono levate però contro la celebrazione di una figura, quella del Joker, che sembra incarnare le frustrazioni dei giovani-maschi-sfigati che scelgono la strada della violenza di fronte a un mondo da cui si sentono incompresi e perseguitati.

E poi c’è stato il ritorno di Polanski, con annesse polemiche per la presenza in concorso di un regista che deve ancora scontare la pena per una brutta storia di violenza sessuale di oltre 40 anni fa. Il suo film, J’accuse, è un thriller politico che rivisita il celebre caso Dreyfus. Tra una riflessione sul pregiudizio e una sull’ingiustizia, è difficile non vedere tra le righe un’allusione alle vicende personali del regista stesso, sfuggito a nazismo, stalinismo e da decenni al centro di una vicenda giudiziaria. Film un po’ accademico, forse, ma sul cui valore sono quasi tutti d’accordo.

A Venezia c’erano anche gli ultimi film di due bravi autori americani: Storia di un matrimonio di Noah Baumbach (Il calamaro e la balena, Frances Ha) e Ad Astra di James Gray (Two Lovers, C’era una volta a New York). Il primo è un dramma sulla fine di un matrimonio, di ispirazione bergmaniana, interpretato da Adam Driver e Scarlett Johansson, ed ha avuto un ottimo riscontro; il secondo è un film di fantascienza con venature esistenziali, con protagonista Brad Pitt in missione per ritrovare e salvare e/o uccidere il padre disperso nello spazio. Diversi applausi, qualche sbadiglio, forse non era un film per tutti.

E poi c’era il ritorno di Larrain con Ema, storia di danza, sesso, ballerine che mettono a ferro e fuoco la città e adozioni che non vanno come dovrebbero. A ancora About Endlessness di Roy Andersson, con i consueti tableaux vivants che grondano filosofia e pessimismo cosmico.

E alla fine c’è lui, l’immancabile film italiano che l’Itaglia intera deve obbligatoriamente spingere verso il Leone d’Oro per sentirsi ancora grande e importante. Il colpo di scena, però, è che stavolta il film pare buono davvero. Stiamo parlando di Martin Eden di Pietro Marcello, liberissimo adattamento di un romanzo di Jack London. La storia di un marinaio che sogna di diventare scrittore, interpretato da Luca Marinelli, è l’occasione per parlare di conflitto di classe, ossessione amorosa e vocazione artistica, rivisitando l’intero Novecento italiano. Sarà Leone d’Oro? In attesa di scoprirlo corriamo a vedere il film, che è già uscito nelle sale.

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Postato in: Festival, L'addetto stampa Tag: adam driver, Binoche, brad pitt, Deneuve, ema, james gray, Joker, koreeda, luca marinelli, martin eden, noah baumbach, Nolan, pablo larrain, pietro Marcello, Polanski, roy Andersson, Scarlett Johansson, Venezia Fai un commento

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