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In fuga dalla bocciofila

Blog dal titolo fuorviante in cui si parla di cinema tra una divagazione e l'altra

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Tre manifesti a Ebbing, Missouri | La spaventosa sete di giustizia

16 Gennaio 2018 di Leonardo Biancanelli

Il fatto che fossi perso da qualche parte nel centro del Paese senza la priorità di ritrovare una qualsiasi strada nota significava, pensai allora, che avevo viaggiato abbastanza a lungo da aver oltrepassato il confine che separa il quotidiano – se non addirittura la casa – dall’ignoto. Da quel momento in poi non dovevo più occuparmi di ciò che stava dentro il vecchio recinto, mi dissi, ma soltanto di crearne uno nuovo che comprendesse allora tutto ciò che mi avrebbe colpito; o meglio: che avrebbe impattato il corso delle cose viste dalla mia parte.

Si trattava a quel punto di trovare un villaggio o piccolo paese, pensai, dove fermarmi per qualche giorno. Avevo stimato di poter pagare non più di tre o quattro notti in un hotel di fascia bassa, cosa che non mi dava affatto pensiero; ma avrei comunque dovuto, dopo quelle quattro notti, rimanere un po’ di tempo tra la gente, perché questa mi conoscesse prima di affidarmi un qualsiasi lavoro con una paga che mi permettesse di rimettermi in strada il prima possibile. Meglio iniziare a prendere confidenza con coloro che offrono paghe avendo già qualche soldo in tasca, seppur pochi: è questione di sembrare responsabili, mi dicevo.

Ero giunto a questa conclusione dopo aver guidato per molte ore. Ero scivolato svelto in chilometri di campi che si alternavano a boschi con una frequenza che mi aveva ipnotizzato. Sembrava vi fosse come una successione innaturale in quella sequenza di: campi coltivati, campi a maggese, foreste, campi coltivati, sili, campi a maggese, foreste, campi coltivati, e via dicendo. Gli elementi di questa successione erano talmente poco vari che, senza nemmeno volerlo, smisi a un certo punto di distinguerli l’uno dall’altro, considerando tutto questo altro che una grande macchia piana verdastra.

Proprio per questo motivo ricordo perfettamente l’istante in cui, da dietro un dosso, apparvero tre grandi cartelloni pubblicitari che recitavano in stampatello nero su fondo rosso le seguenti frasi, in questo stesso ordine in cui ora le riporto: “Raped while dying”, “And still no arrests?” e “How come, Chief Willoughby?”.

Mi ci volle qualche secondo per elaborare i messaggi, ma fu di certo una gran brutta sensazione quella che s’impossessò di me dopo averli visti.

Pensai che non mi sarei fermato in quel posto. Passai oltre la centrale di polizia, probabilmente comandata dal Willoughby del terzo manifesto; e oltre la scuola, probabilmente frequentata dalla ragazzina, o dal ragazzino, del primo manifesto. Passai oltre il bar, probabilmente frequentato dall’omicida del secondo manifesto. Passai, infine, oltre l’ultima costruzione di quel piccolo paese, e tornai a immergermi nella grande macchia piana, ritornata a essere verdastra.

Ora, la riflessione che avvenne nella mia testa nell’ora successiva al passaggio in quel paese vide il rapido susseguirsi di parecchi ripensamenti e prese di posizione, e repentini cambi di prospettiva, perché è questo il modo in cui sono sempre stato solito affrontare i dubbi, ma si concluse con la decisione irrevocabile di allontanarmi da quel luogo senza fermarmici neppure un secondo; poiché, pensai allora, non volevo scegliere tra il diventare complice dell’odio di coloro che sono i buoni o complice dell’odio di coloro che sono i cattivi. Anzi, mi sembrava un grave torto proprio il fatto che mi venisse richiesta una simile presa di posizione, perché io a quel tempo non volevo odiare affatto, categoricamente: ne avevo avuto abbastanza del buio, e volevo veder chiaro.

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Postato in: La scena tagliata Tag: giustizia, leonardo biancanelli, tre manifesti Fai un commento

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