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Cos’è un leone, anzi un leone d’oro?
Un leone d’oro è prima di tutto un oggetto, un manufatto.
Un leone marciano, è il simbolo di Venezia. Un leone d’oro è un premio. Ma è anche il simulacro della volontà di una giuria, e in particolare del presidente di una giuria.
In questo caso il leone d’oro al film Desde Allà, tradotto in italiano Ti guardo, è la scelta di una giuria e di un presidente di una giuria, il regista Alfonso Cuarón.
Un presidente di giuria è un uomo, ma prima di tutto un nome.
Oltre ad essere un regista, quello che ci vuole come presidente di una giuria, è un nome forte. Perché un nome forte è qualcosa che riuscirà a nascondere qualcos’altro.
Servirà a rendere meno evidente qualcosa che è sotto gli occhi di tutti: che la mostra del cinema di Venezia perde ogni anno d’importanza, a discapito di altri festival. O a discapito di niente, ma che comunque perde qualcosa.
Un festival del cinema con una tale tradizione e storia che perde qualcosa è prima di tutto una conseguenza politica. Un riflesso. Di scelte politiche che compie un Paese, dove una classe dirigente decide di rivolgere altrove il suo sguardo e sopratutto gli investimenti. Dove? Non saprei, non mi interessa.
Un leone d’oro è prima di tutto politica e interessi economici, di cui non mi interesso, perché già loro si interessano abbastanza a me, ad esempio nel propormi il loro leone d’oro. Desde Allà non è un gran che, diciamolo.
Se c’è qualcosa di buono in questo film io credo sia all’inizio, oltre che negli attori e nell’attore principale e il suo volto, la forza del suo viso, o in generale la magia che è un viso, ogni viso, un viso su cui si indugia. Un viso, un volto, e il suo mistero.
Oltre a questo c’è l’inizio del film, dicevo. Inizio che non vedrete mai, ché il nostro Paese toglierà presto il film da tutti i cinema, e forse passerà ancora in una piccola saletta di provincia e in definitiva NON E’ NEMMENO QUESTA TRAGEDIA CHE VOI NON LO VEDIATE, anche se questa frase sì che è una tragedia, perché il fatto che un leone d’oro sia un film prescindibile è una cosa triste.
Comunque ciò che si salva oltre agli attori, dicevo, è l’inizio e questa tensione superficiale che viene indagata. Quanto si può prolungare una situazione instabile? Quanto è possibile indugiare in un momento? Quanto si può aspettare di baciare una ragazza o un ragazzo quando si esce fuori la sera o a pranzo con lei e si va magari al cinema o a bere qualcosa? Quanto si può prolungare una situazione instabile? Quanto ci vuole a rompere un equilibrio?
E non perché si rompe e come si rompe, visto che poi spesso gli equilibri si rompono, ma la tensione che c’è prima, la distanza -appunto- che precede il cambiamento, e che in verità potrebbe protrarsi all’infinito: quella importa.
Thriller gay, così l’hanno presentato. A Venezia ha vinto un thriller gay. Anche Venezia ha il suo thriller gay, anche noi ce l’abbiamo. Ma i diritti individuali in questo caso di più sono prima di tutto un modo di nascondere qualcos’altro, o ancora meglio ancora delle semplici etichette, dei tag, che non servono a niente, che servono solo a creare titoli di articoli on-line che nessuno leggerà mai.
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