In macchina. Siamo finiti a parlare della morte. Davanti ad un pub dove andavo qualche volta ai tempi del liceo. Ai lati di una rotonda. Lei con capelli castani, in alcuni punti biondi, il rossetto e il mascara, la cintura allacciata, una collana azteca che azteca non è. Io in un logoro parca.
Ad un primo sguardo potrebbe sembrare una discussione pesante, invece ci scherzavamo sopra. Che ci vuoi fare? Ogni tanto a lei veniva fuori uno sguardo impaurito e triste. Io volevo farla ridere e qualche volta mi riusciva, qualche altra volta no. Ci siamo promessi che ci aiuteremo ad ucciderci quando dovrà succedere, che ne so, tetraplegici o alzheimer. Lo faccio promettere a tutti (Ciao. Ciao. Come ti chiami? Marinella e te? Ok, dopo ti dico il mio nome, ma prima promettimi che se dovesse succedermi qualcosa tu mi aiuterai a morire. Va bene. No promettilo. Promesso ma ora forse si è fatto un po’ tardi e devo andare).
La davanti al pub dove andavo qualche volta ai tempi del liceo, in quella folle, orribile rotonda, ci siamo detti che per chi crede nell’al di là è facile, ma per noi… Hai presente quando fai un’anestesia totale? Hai presente quando ti schiaffeggiano per riportarti alla vita? A me non mi hanno schiaffeggiata! Ho capito cosa fosse il cogito cartesiano con quella sensazione di pace che è l’inesistenza del sonno indotto. Oh come si sta bene in quel sonno senza pensieri, in quel vuoto, e poi ti tirano i ceffoni per riportarti alla vita. Sì ma a me non mi hanno schiaffeggiata. Credo che la morte sia un po’ così. E quando ti riprendi dall’anestesia e dalla morfina sei un po’ rincoglionito, questo è innegabile, ma sei anche un po’ diverso, sei differente. Ridevamo. In macchina. Davanti a quel pub. La differenza. Ah ah ah.
Ma The OA parla proprio di questa differenza. O almeno la prima stagione. La seconda si vedrà. Potrebbe essere una grande delusione. Si vedrà. E alla fine dell’ultima puntata scopri pure che un balletto alla Pina Bausch è terribilmente commovente. Perché? Perché il peso del nulla che ci attende viene alleggerito improvvisamente da cinque persone che danzano e tutto il substrato buonista americano viene a galla nei tuoi occhi come speranza. Ci potrai leggere dentro il buon umore di Stephen King che crede fermamente che l’orrore possa essere sconfitto attraverso l’amicizia. Se siamo amici la vita è meno dura. Innegabile. Ma qua siamo in Europa e il cinismo ci attanaglia. Come diceva Sartre: L’Europa è fottuta!
Ci potrai anche leggere l’Odissea di Omero, con la sua catabasi opprimente e anche la versione paganeggiante del cristianesimo, con tutti gli angeli della follia popolare che si prendono cura in un modo imperscrutabile e invisibile di noi anime nobili, sensibili, premurose.
E come negare il conflitto mai superato tra scienze umane e scienze naturali? Se posso dirla tutta finalmente una serie tv che demonizza la scienza. Finalmente. Anche se poi a pensarci bene lo scienziato pazzo è un genio. Forse. Il. Più. Grande. Genio. Della. Storia. E allora ecco la buona novella di The OA: le scienze umane e le scienze naturali non sono in conflitto tra loro. Ah ah ah (questa cosa probabilmente fa ridere solo me). Ah ah ah.
In The OA ci potrete riconoscere anche una sorta di specialissima rivincita degli sconfitti, dei sofferenti, di chi non ha voce, (preteriti di ogni epoca), di chi non si fa bello, ma cerca solo, senza riuscirci, di diventare normale. La normalità come illuminazione divina. Un bagno di umiltà in salsa Netflix. L’Europa è fottuta!
Ci potrete vedere anche qualche paio di tette. Che per salvare l’anima dalla dannazione eterna e per vendere un po’ di più non fanno mai male.
Ma una cosa dobbiamo riconoscerla a tutti i costi: The OA può piacere oppure no (a me sinceramente è piaciuto), ma Brit Marling e Zal Batmanglij hanno avuto coraggio a scrivere una sceneggiatura che affrontasse in modo così poco ironico la morte. Si sono presi sul serio. Volevano darci una speranza esistenziale. In cui non credo. Mirata a fare un fottio di soldi. Ma non per questo punirò la loro intenzione.
E quando morirò mettetemi in un vasetto con dei semi di ciliegio e piantatemi in una rotonda, vicino ad un pub dove qualche volta andavo ai tempi del liceo.

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