Di questi giorni ricorderò
la fruizione incontrollata di storie Instagram,
la paura di rimanere senza niente
– senza lavoro, senza idee, senza un soldo –
e l’intuizione che finché non apro la porta
finché non cambio l’aria della stanza
tutto rimarrà immobile
niente potrà alterarsi
sarò al sicuro.
Ogni tanto ripenso
ai risvegli a Lisbona
alzarsi a mezzogiorno in quel sole assurdo
e sentire al tempo stesso
che tutto era possibile
e che niente lo era più.
Nella stanza con tre finestre
e il materasso buttato a terra,
con le mosche che giravano in tondo
e la porta socchiusa,
qualcosa era sempre sul punto di entrare.
Se non mi fossi mossa
sarebbe rimasta fuori;
allora mi rimettevo a letto
ad ascoltare gli aerei.
Nelle pause dello smart working
mi sono iscritta a Linkedin
perché il mio contratto scade in giugno, e a quel punto
dovrò convincermi
di aver fatto il possibile.
Sul social della carriera
trovo profili interessanti
corsi di studi presso istituti famosi
e percorsi di vita più che coerenti.
Belle foto profilo
esperienze invidiabili in ogni settore
ed il pulsante per attivare la connessione
e avvicinarmi a chi desidero diventare.
Il mio amico Raffaele sostiene
che per quelli come noi questa roba non serve.
Ho riflettuto qualche giorno
su quel pronome plurale;
mi sono interrogata
finché ho capito.
La sera, prima di cena
mi fermo un attimo in balcone.
Dai giardini, al piano terra
il profumo dell’erba tagliata.
Il gatto dei dirimpettai
schiaccia il muso sul vetro.
C’è in me l’eco di ogni vita
che avrei potuto vivere.
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