Essi Vivono ST02, ep5
di Chantal Salvinelli
Osservo la salsa di carote addensata al centro della ciotola, con l’olio che è stato emulsionato a caldo e quindi si è distaccato e ora balugina un poco in superficie. I visi simili a ciottoli nelle pance dei fiumi mi guardano interdetti. Non c’è qualcosa di più scandaloso, perfino a questo punto del mondo, con fuori la neve che copre molto spazio vuoto, dell’infelicità: non la mancanza di soldi, non la mancanza di amore, non la mancanza di ispirazione. Solo l’infelicità rende sgradevole la cena di Capodanno. Il suo aggravante è l’assoluta naturalezza della mia infelicità. La conoscono tutti da sempre, lui sopra a tutti, eppure vogliono fingere che non sia mai stata. Ma io ho visto nella salsa, oltre la rabbia e lo sdegno, la vergogna. È quella che va dissimulando lui tutta la sera.
E l’ansia. Questa perenne ala mozza che lo atterra, che mio fratello ha accolta tutta in lui. Lo vedono tutti loro da sempre. Mamma e nonna lo confondono da sempre come ingegno. Ma non è ingegno quello che gli fa tremare la mano nell’allungarsi sul tavolo, per servirsi dalla brocca. Alle volte chiedeva a me di versargli l’acqua frizzante. Ci sono angeli atterrati e seduti a questa tavola. E se io mi volto, le mie ali floride sono bianche, i muscoli di ogni piuma forti come addominali obliqui, contratti in un tono sempre pronto allo spicco. Le uniche ali che superano di gran lunga i piedi della seggiola di legno svedese e si accoccolano per gran parte del parquet già piegato agli angoli. Se le aprissi, divelterei la cena di Capodanno e le mura del piccolo salone urbano. E quale ingegno hanno messo le donne a cucinare quel cenone. Quale ingegno ho messo io. Tanti ingegni che s’appigliano alle rocce del monte per non franare, come capre di montagna: e si fanno piacere la cucina, per sopravvivere ai turni; si fanno piacere la musica, per metterla stasera e sovrastare il silenzio del mondo lì fuori; si fanno piacere le programmazioni, per reinventare le cose eterne.
«Il mondo non ha più nuovi umani», dice infine lui, con tono gioviale.
Stasera è nel suo costume di lombrico sociale, le sue propaggini energiche – i piccoli peli degli avambracci a volte glabri eretti verso gli altri –, lo rendono l’anima della festa, il vero pilastro della famiglia. La cosa più antica che c’è a tavola, insieme alle nostre ali. Lo dice allegro ma sull’orlo di un precipizio che potrebbe scattargli l’ira che non si cura mai di malleare, recludere, perdere. Lo dice per dirlo a se stesso, ed ecco che riaffiora quella vergogna. Mio fratello mi ha detto che lui e la mamma sono separati in casa da molti anni. Mio fratello l’ha detto come un dolore cronico che non sa più il dolore. Dice che spesso mamma sta dalla nonna, ed è un bene che la consuma fino ad averle rotto le ali sulla schiena. Si porta sempre un pochino di granuloma sulla cicatrice delle sue antiche piume ora ingiallite. Nonna è l’unica a cui queste sono ricresciute, come una nuova giovinetta, e sono le uniche che svolazzano piccole e vibranti. Mia nonna è l’unica veramente felice, naturalmente, come io non lo sono mai stata.
«Non puoi permetterti di, be’, rinunciarci a cuor leggero».
«Interromperò la gravidanza lunedì prossimo», le mie parole hanno reso nere le ali mozze di papà.
Il cibo è diventato insopportabile nella bocca di mio fratello, con quel suo modo funesto di articolare i denti tra loro. Mia madre non ha perso l’appetito, la cicatrice la rende inattaccabile da questo nuovo mondo sottopopolato. La notte di Capodanno è una delle più tristi, perché le famiglie si chiudono come in boccioli di fiore, lasciando le strade così vuote da ferire le orecchie. Mio fratello è così lontano dalla vita da non avere neanche un’espressione utile per le occasioni. Alle volte ci prova, indossa un eccesso di patimento da apparire un poco buffo.
«E Paul, lui?», chiede solo mia madre. Continua a leccare la salsa di carote dal cucchiaio.
«Mi sono innamorata di un ragazzo che ama la famiglia» dico solo.
Mi fanno male le ali. Guardo la neve fuori cadere e ammucchiarsi al centro degli incroci. Tutti stanno sparecchiando e lavando i piatti. Mio padre si aggira come costretto dalle circostanze, alle volte il suo costume si straccia un poco, si aggrappa con gli zoccoli sul monte che però frana. Lo vedo guardare mio fratello che mangia la torta sullo sgabello in cucina, e parla con nonna e mamma felice di esserci. Lo vedo rivolgermi sguardi forsennati. Al riflesso della finestra, vedo il suo sguardo. Meno denso della salsa, il vetro me lo ridà pacifico, anche se non privo di stizza. E la vergogna è sempre là. Rimane a guardarmi nel vetro, poi si gira. Gli freme un pochino l’ala nera. Di tutte le cose di cui vorrebbe avere vergogna, e non ci riesce, pensando a me pensa che la vera vergogna è stato dare vita a degli umani infelici. Mi dà ragione, ma non intende ammetterlo. Nel piccolo silenzio della musica di papà e delle chiacchiere in cucina, la neve muta che cade ci rende felici agli angoli della casa. Vorrei che Paul fosse qui, nel quinto angolo della casa con le sue ali fatte d’oro, così preziose da non riuscire ad aprirsi e volare.
Mi hai commossa! Hai una sensibilità fuori dal comune! Brava ❤️ Attraverso la scrittura riesci a rappresentare visivamente ciò che descrivi