All’età di cinque anni ho visto il mio primo fantasma. Per le vacanze di Pasqua la mia famiglia si riuniva nella casa di campagna di zia Sofia, che poi non era veramente mia zia, non c’era alcuna parentela, solo che io l’ho sempre chiamata zia. Io e mia cugina Anna, che invece era davvero mia cugina, dormivamo in mansarda. Nonostante il soffitto basso e inclinato e i mobili scuri e pesanti, la stanza era inaspettatamente luminosa e calda e mi piaceva stare lì. Forse per le cose strane che si trovavano aprendo un cassetto proibito o per i libri con le copertine morbide impilati sullo scaffale. Ci piaceva prendere i libri di nascosto dallo scaffale e lasciare le impronte sulle copertine.
Preacher | O delle opere di Padre Bresciani
«Quando m’arrischio ad uscire vedo solo visacci briachi, truculenti, feroci, armati di pistole, di daghe, di pugnali, di carabine… bestemmiando ad ogni parola bestemmie orribilissime, sozzissime e più che diaboliche contro Maria immacolata». Così scrive Padre Antonio Bresciani nell’introduzione al suo romanzo L’ebreo di Verona. È il 1850. Siamo a Roma. Ma facciamo un passo indietro. Al 1849.