Sto aspettando la mia amica quando entra una coppia trafelata con cane al guinzaglio. Lei guarda la bigliettaia, poi indica l’animale e domanda “lui?”. La cassiera si produce in una serie di espressioni di sorpresa, disappunto e sconcerto una dietro l’altra. Sulle porte del cinema sono affissi cartelli piuttosto eloquenti, ma l’aria perentoria della proprietaria del cane l’ha gettata in un irreversibile stato ansioso. Mi guarda, “che si fa?”, come se la cosa dipendesse da me. Faccio cenno di si con la testa e vengono lasciati passare. La ragazza non sorride, non ringrazia, forse segretamente sperava che il suo accompagnatore non socialmente accettabile l’avrebbe salvata da due ore di film ucraino interamente in linguaggio dei segni. Non sembra soddisfatta, forse per una volta il cane non è stato il migliore amico dell’uomo. “Come si chiama?” chiedo. “Rocco” mi risponde.