La cosa più complicata nella gestione del dolore, pensava disteso lungo e immobile nel letto n°51, è non cedere alla tentazione di dargli una forma. Ma quali alternative restano?, si domandava, e finiva per dare al proprio dolore la sembianze di un grosso volatile intrappolato in una teca di vetro, e i vetri della teca sono i confini dei nostri corpi straziati, così diceva a se stesso, i vetri sono le nostre pelli, pensava, e sono vetri troppo puliti perché l’uccello possa vederli e non sbattervi contro furiosamente.
Un volto, due destini – I Know This Much Is True | Elegia del figlio unico
Mi sono mangiato i miei fratelli quando ancora eravamo delle folate di vento e gareggiavamo sotto il ventre dei cavalli al galoppo, tra le rocce e sopra la risacca. Me li sono mangiati, e dalla pancia di mia madre sono nato soltanto io, con un taglio secco, in una schiuma di sangue e carne. Poi ho pianto, ma quello – chi più chi meno – lo fanno tutti.