Quando qualcuno mi chiede perché adoro i film horror, rispondo sempre: perché sono la forma cinematografica più vicina alla pornografia senza essere pornografia. Di solito le persone mi guardano strano, come se avessi detto qualcosa di un po’ folle, ma poi in definitiva gli torna, lo capiscono e mi chiedono di approfondire il concetto.
Certo nell’horror non si assiste a sconvolgenti penetrazioni multiple, né a stupri di gruppo su minorenni o grida compiaciute di donne o filamenti bianchi che penzolano su palpebre che sono tagli nella perfezione di un volto, ma come nella pornografia, anche nell’horror c’è qualcosa dentro di noi che ci violenta. L’horror è la forma finale della mimesis. Del realismo psicologico. Dell’ipertrofia metaforizzata. Della paranoia. E in ultima istanza, ma solo proprio alla fine, della paura assolutamente umana che tutto vada in malora, che il disordine non sia più recuperabile, che il caos vinca per sempre.
Da questo punto di vista potremmo addirittura dire che pornografia e horror sono dei generi cinematografici conservatori, perché ci raccontano il terrore che abbiamo di fronte alla dissoluzione dello status quo. Il male è un fattore esterno che arriva a sconvolgere le nostre famiglie, la nostra città, è una sorta di progresso contro cui dobbiamo lottare. E la nostra lotta ci porterà a ricostituire, anche se in modo virato, un ordine nuovo pur sempre terribilmente simile a quello precedente. Nella pornografia è lo stesso: prima siamo persone normali, poi un oggetto sessualizzato ci porta a XXXXXXXX fino alla follia, ma dopo i più impervi tentativi per raggiungere il parossismo, quando la pletora degli organi si rilassa, allora torniamo all’ordine pre-coitale. Ci rimettiamo la cravatta. La pornografia in fin dei conti denuncia il caos dentro di noi e ci chiede di confinarlo dentro alle quattro mura dei rapporti sessuali.
Eppure ci sono dei film horror e dei film porno che ci dicono qualcosa di più su noi stessi in quanto esseri umani: non sono molti ma ci sono. E qui arriviamo a Shut In, colossale cacata horror e in un certo qual modo pornografia nel senso più basso del termine, che però possiede un doppio ribaltamento narrativo assolutamente affascinante. Ve lo spoilero, tanto non andrete mai a vedere questa pellicola. Abbiamo Naomi Watts, sposata con un uomo che ha un figlio da un matrimonio precedente. La madre di questo figlio è morta. Naomi Watts allora sviluppa un attaccamento direi morboso nei confronti del figlio adottato tramite nozze e gli canta sempre una canzoncina molto carina. Ma un incidente stradale uccide il marito e rende paraplegico il figlio. Solo che il figlio in realtà fa finta di essere paraplegico perché in realtà vuole godersi tutte le cure matrignesche con un misto di estasi mistica e perversione stuprante. Naomi Watts, però, è anche una raffinata psicologa infantile. Le capita sottomano un bambino sordo e vorrebbe adottarlo. Al contempo sta cercando di sbolognare il figlio contratto dal precedente matrimonio, cioè il finto paraplegico, ad una casa di cure specializzata in paraplegici. Dunque il paraplegico capisce che vuole essere sostituito dal bambino sordo e, visto che sta solo facendo finta di essere paraplegico, ma in realtà sta come una pesca, droga la matrigna per cercare di uccidere il bambino sordo. Naomi alla fine è costretta ad uccidere il finto paraplegico per salvare il vero sordo.
Fin qui il film ci starebbe dicendo che per liberarci da un lutto, dobbiamo metaforicamente uccidere il fantasma che si è creato nella nostra mente, ma la scena finale ribalta il significato di questa cacata di horror, perché Naomi Watts è in macchina col bambino sordo e comincia a cantargli la canzoncina proprio la canzoncina che cantava anche al figlio finto paraplegico, ed è qui che arriva il ribaltamento che si fa interessante e che giustifica il motivo per cui ci siamo guardati un’ora e mezzo di merda, perché mentre i titoli di coda scorrono, noi spettatori dovremmo improvvisamente capire che allora il vero antagonista è la madre, è Naomi Watts che ha una patologia cronica di eccesso di affettività, incapacità di tagliare il cordone ombelicale, una tensione erotica irrisolta verso i bambini. È lei che crea mostri. Anche il fanciullo sordo un giorno ucciderà chiunque si avvicinerà alla matrigna. Madri, madri di tutto il mondo, Shut In è una cacata pazzesca, ma il suo messaggio lo si può sintetizzare così: forse i vostri figli si salveranno da voi solo se saranno sordi! Per quanto riguarda i padri: son fin da sempre stati emarginati nella morte (che odiosa sperequazione cinematografica). Insomma, il complesso di Edipo alla fine è una paura pornografica genitoriale, non filiale. È questo il senso ultimo e più alto della tragedia greca: che faremo di tutto per evitare le cose che non vogliamo e proprio per questo ci accadranno.
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