Assenza
Negli ultimi dieci anni, se la memoria non mi inganna, ho preso parte a tre eventi in cui Enrico Ghezzi era l’ospite di punta. Nessuna delle tre volte Ghezzi si è presentato.
Nella prima occasione, se la memoria non mi inganna, si trattava di una conferenza su Gilles Deleuze, e in quell’occasione anche il collegamento via skype saltò.
SuperAmore
Questo tentennare mi tenta
(Qualcosa che forse ha detto Ghezzi)
Se di quello che dice Ghezzi si riesce a distinguere il 5%, e di quel 5% solo lo 0,2% è riconducibile a frasi dotate di senso, allora c’è da dire che il nostro amore per Ghezzi è Super Amore o in un certo senso l’amore nel suo senso più puro: l’amore stilnovista, l’amore per l’ologramma, l’amore per il fantasma.
Sosta al greco
Nel tragitto tra Museo del Novecento e Serre Torrigiani ci siamo fermati dal greco su via dei Serragli. Perché sapevamo che con il buffet ci sarebbe stata gente molto motivata. Il greco di via dei Serragli, ogni volta mi dimentico che è davvero una pessima idea.
Ripensando
Ripensando ai film citati da Ghezzi nel mediometraggio “Oroburos” visto al Museo del Novecento, oltre ad alcuni riferimenti un po’ prevedibili (Bela Tarr nazionale), il creatore di Blob ha nominato il mai sentito “I Crociati”. Poi l’abbiamo googolato: è un film del 1935, magari è un film fondamentale, ma questo è la cosa bella di Ghezzi: che alla fine sai una sega te. Comunque Enrico raccontava una scena per qualche motivo, perché gli era partito un collegamento mentale che vai a sapere te che cavolo gli passava per la testa. Insomma un personaggio dentro una tenda, o qualcosa del genere, a un certo punto taglia con una sciabola un fazzoletto di seta come a spezzare il flusso narrativo del film stesso. O qualcosa del genere.
A noi questo passaggio ha semplicemente ricordato la scena di Body Guard con la compianta Whitney Houston e Kevin Costner. Giusto per farti capire il livello.
Alle Serre
Arrivati alle Serre abbiamo abbottonato per bene le nostre camicie strette e risvoltato i risvoltini dei nostri pantaloni a sigaretta. Al cancello la responsabile ha cercato i nostri nomi sulla lista.
È sempre un’emozione agrodolce attendere che il/la responsabile trovi il tuo nome sulla lista, su qualunque lista. In un film di Kaufman gli occhi di lei scorrerebbero la lista all’infinito lasciando via via cadere i fogli sui quali non stavi.
Poi uno è entrato e ha detto:
«Ciao, mi chiamo Marco e ho una barba»
«Ciao Marco» abbiamo detto in coro (cit.).
Il pesce saggio
È bastato un attimo per capire che la gente al buffet era effettivamente molto motivata. Una lunga fila zigzagava tipo mensa popolare sfumacchiando tra le magnolie.
Perché ci sentiamo sempre pesci fuor d’acqua in queste occasioni mondane? Perché sentiamo il bisogno di alimentare questa pantomima anche quando – superati i trent’anni – potremmo semplicemente ammettere che ci divertono? Oppure è proprio con l’età che ci vengono a noia? Ne abbiamo parlato consumando piccole colonnine di pecorino che impilate nei vassoi facevano quasi tenerezza.
Parlavamo poi del festival che si sarebbe tenuto di lì a poco, il festival dei film in piano sequenza, mentre il campione dei pesi welter Bundu saltava la fila forte del suo sorriso.
Nel cielo diventava notte. Piero Pelù, coi suoi lunghi capelli d’argento, ci è passato vicino: «Salve ragazzi» ha detto «com’è l’acqua?»
I film
Cos’è un piano sequenza?
(Domanda di una signora poco prima della proiezione di “Oroburos”)
Nel primo film in concorso, l’italiano “Cul de sac”, il cameo di Matta Mei ha suscitato dei gridolini.
La suggestione di “Flow”, invece, dove si postula l’impossibilità di esprimere a pieno la propria canzone interiore, ha fatto arricciare dei nasi.
“Colera” è rimasto nel cuore un po’ a tutti, sebbene i più tecnici abbiano avuto da eccepire: non si tratta di piano sequenza, si vedeva benissimo lo stacco sulla fucilata all’appestato.
I molto belli “Let’s be civil, Kenneth!”, “After the fray” e “Pollyanna” non hanno potuto nulla, in sede di votazione, contro il geniale “The Robbery”, il cui finale è valso un applauso a scena aperta.
Menzione particolare per l’animazione con fili invisibili “Golf” di Giulia e Neri (lacrime) e per il norvegese “Halibut”: siamo sicuri che quel pranzo andrà avanti per sempre.
Ancora una cosa sul buffet e poi basta
Il grande regista Grazzini ha giustamente fatto notare che un pubblico satollo non è un buon pubblico. Del tè – ha detto – del tè e poco altro, gli si dovrebbe dare. Vedi poi come stanno attenti.
Del resto lo sappiamo che in tempo di crisi non si mangia con l’arte ma si va agli eventi artistici sopratutto per mangiare.
(di Simone Lisi e Giovanni Ceccanti)
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