La vita è come un racconto rovinato da un finale
non all’altezza degli eventi che lo precedono.
Thomas Ligotti, La cospirazione contro la razza umana
1.0 Introduzione. Soffitti sconosciuti
Osservato dalla cabina di pilotaggio di una sofisticatissima arma di distruzione di massa, il mondo appare da una prospettiva diversa. La plancia, inserita nel midollo spinale di un robot umanoide multifunzione alto quanto un grattacielo, ci permette di interagire col mondo dalla prospettiva di un dio.
Cosa dovremmo dire dell’essere vivi, quando si ha tra le mani questa possibilità? Se per molti essere vivi va bene – perché l’alternativa è essere morti – essere un dio dovrebbe essere più gradevole di quanto sarebbe essere vivi anziché morti. Eppure questa posizione non sfugge a un risvolto tragico.
Ad esempio, l’apparizione di ciclopiche creature dotate di vita – forse non di coscienza, ma certo di anima –, ha trasmesso un senso di perturbante orrore. Che siano soprannaturali, aliene o divine, queste creature hanno scombussolato la ragionevolezza, concretizzato il caos e negato la natura finora conosciuta dell’uomo.
Il sacrificio spirituale e fisico del peccato originale, che si replica da millenni, ogni giorno uguale a sé stesso, ci dicono: è vano.
2.0 Pausa. L’istante, i pensieri, l’armonia
La città-fortezza, il cui cuore batte al ritmo dell’incudine e del martello nella produzione dell’Arma, è capace di mutare come si vorrebbe mutasse il corpo dell’uomo che mira a trascendere i propri limiti per elevarsi oltre natura. Eppure, non può nulla contro le ciclopiche creature. Appare indifesa e fragile, perché, come l’uomo, è condannata alla caducità della materia.
Ecco, la tragedia. Se l’anima è ciò che determina l’individuo, e lo mantiene ancorato al piano dell’esistenza; il corpo è il trono dell’anima, e lo mantiene ancorato al piano della realtà.
Da quando dio si è fatto uomo – carne –, la realtà, così palpabile, ha coperto ogni orizzonte possibile. L’esistenza, dunque, è oggi realtà. Per molte persone, essere vivi è abbastanza dal momento che si può creare, possedere e toccare ciò che si desidera. Ma anche i più ottimisti possono avere dubbi sulla desiderabilità di un’esistenza di questo tipo, quando raggiungono i limiti della carne. Cosa dovremmo dire dell’essere vivi, quando si ha tra le mani questo destino?
3.0 Accelerazione. Almeno, essere umano
Se essere umani significa essere coscienti, essere dio significa avere il coraggio di condannare questa coscienza, rifiutarla quale dono e accettarla quale atto di egoismo da parte di chi poi avanzerà pretese sul nostro corpo, disponendo di noi come si dispone di una marionetta creata a uso e consumo di una società che rifiuta l’unico diritto concesso all’uomo per natura: morire.
Eppure, sul campo di battaglia, quando la potenza di un dio si concretizza nelle mani di un robot umanoide multifunzione, ciò che resta – oltre la possibilità di condanna della coscienza –, è la possibilità di disporre del corpo, della carne. Anche questo significa essere dio.
Cosa dovremmo dire allora dell’essere vivi, quando si ha tra le mani questo potere? Il mondo, osservato da un letto di ospedale in un tardo pomeriggio d’estate, quando il sole sulle pareti è pura luce e il frinire delle cicale puro ricordo, può dirsi ancora rassicurante, desiderabile? Felice?
3.0+1.0 Epilogo. La bestia che gridò amore nel cuore del mondo
Il mare, da cui tutto è nato, oggi è placido e rosso. Il mare, brodo primordiale della vita, oggi è una distesa salata e vuota, la cui potenza creativa è annichilita nel nulla.
Sembra aver raggiunto, il mare, la stessa conclusione di molte filosofie dell’oggi: da vivi si può essere felici, ma è certo che si soffre. Se non si è vivi, è certo che non si è felici ma è altrettanto certo che non si soffre. Donare la vita, dunque, equivale a donare la sofferenza. Chi vuole rendersi complice di questo? Non il mare.
Al più, solo chi crede nella qualità redentrice del dolore; nella sua capacità di mutare in positivo, e dunque in volano della crescita individuale e collettiva. Ma non è una questione di ottimismo o pessimismo.
L’umanità non accetta la sofferenza quale ostacolo verso la direzione cui è destinata a muoversi, qualunque essa sia. Una persona che soffre, va salvata. Una persona che rifiuta la sofferenza quanto la felicità, è perduta, va rifiutata.
Il depresso, allora, è il vero rivoluzionario. Colui che ha capito che nel mondo non c’è niente di così irresistibile da volersi affannare ad abitarlo da qui all’eternità.
Il depresso, colui che, riemerso da un purificatore abisso di lucidità, si chiama fuori da questo viaggio oltre i limiti della solitudine, ed è disposto a uccidere l’uomo – la carne –, per farsi dio.
Rispondi