K-Stew, il volto scavato dall’ansia, si spara un selfie allo specchio e messaggia coi fantasmi. Chi sono questi fantasmi? In questa domanda c’è tutto il cinema del regista Olivier Assayas.
- I fantasmi sono innanzitutto i protagonisti di una buona fetta del cinema di genere, di cui Assayas si è sempre nutrito. Eccolo qui riproporre tutti i topoi del caso: case infestate, ectoplasmi che galleggiano nell’aria, oggetti che cadono misteriosamente, presenze invisibili. Da questo punto di vista, i fantasmi sono soprattutto materiale cinematografico, prima ancora che entità sovrannaturali.
- I fantasmi sono poi lo strumento, come sosteneva la pittrice astratta Hilma af Klint cui il film fa riferimento, per entrare in contatto con i cosiddetti «Grandi Maestri» e attingere alle «idee spirituali» di cui l’arte fornirebbe una rappresentazione visiva. I fantasmi, insomma, come mezzo (o pretesto) per recuperare la lezione di Bergman (il «grande maestro» che di spettri se ne intendeva) e affrontare tematiche «alte», esistenziali, spirituali. Usare i fantasmi per puntare dritti all’assoluto.
- I fantasmi sono i nostri corpi dematerializzati dagli strumenti della comunicazione digitale. Messaggiare ossessivamente via smartphone significa farsi risucchiare in una dimensione altra e invisibile: parlare con gli spiriti. Ecco quindi il parallelo azzardato tra le sedute spiritiche di Hugo e la speranza della giovane protagonista del film di entrare in contatto via sms col fratello morto. Gli spettri, quindi, come immagine chiave per parlare del contemporaneo, per provare una disamina della nostra condizione spirituale nell’era della comunicazione. Inviare messaggi sullo smartphone, dice Assayas, è quanto di più vicino alla poesia ci resti nel quotidiano.
- I fantasmi infine siamo noi, giovani precari invisibili, ai margini del mondo glamour eppure essenziali per la sua sopravvivenza. I volti scavati dall’ansia, dall’insoddisfazione perenne, dalla ricerca di un senso che sfugge. Così desiderosi di essere fashion, cool, intellettuali, profondi, da non renderci conto che, alla fine, di noi non rimane che un’immagine, un’idea fragile e sfuggente. I fantasmi come sintesi delle contraddizioni: entità reali ma invisibili, materiali(stiche) ma spirituali, perfettamente integrate nella contemporaneità eppure sempre persi in un qualche altrove.
«Is it you? Or is it just me?»
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