di Alessandro Prosperi (essi vivono)
Un’ultima boccata alla sigaretta prima di spegnerla nel vaso accanto al divano, quello con il ciclamino ormai secco, irrecuperabile, come la maggior parte delle piante del soggiorno. Non ero io che me ne prendevo cura. Del resto, tutta la casa sta morendo. In pochi giorni la puzza di fumo ha già impregnato tutto, prima neanche potevo fumaci qui dentro.
Fa caldo. Il sole sbatte sui palazzi di cemento armato e sui tetti di amianto. Le finestre degli appartamenti abitati hanno i rotolanti abbassati fino ai tappi di finecorsa: la scottante desolazione è inarrestabile e il ronzio dei condizionatori incessante si insinua nel cervello evaporando ogni placido pensiero.
Non so da quanto tempo sono qui, sdraiato sul divano, ma ci vorrei rimanere per sempre. Guardare ancora una volta i titoli del canale 100 e non pensare allo schifo di questi giorni, di questi mesi.
Dalla grande finestra della sala, tra gli spazi liberi di una veneziana, intravedo il bosco di querce e castagni che sale sulla collina, nell’unico lato del quartiere senza palazzi. Quando tira vento le chiome degli alberi si muovono all’unisono, come delle grandi onde.
“Guarda. Sembra il mare! È come il mare, solo che è verde.” Mi disse Violante, uno dei primi giorni in questa casa. “Potrei mettere qui la mia macchina da cucire. Mi piace il vento… Magari ricomincio a dipingere”. Oggi invece è tutto immobile, pesante, e quel cazzo di bosco non ha niente di particolarmente poetico. Starà funzionando il bupropione?
Dovrei pulire questo schifo, così quando rientrerà troverà la nostra casa come è sempre stata e mi sorriderà felice.
Riapro gli occhi che si è fatto buio, senza che la porta si fosse aperta.
Dovrei uscire a fare due passi lontano da tutto e da tutti, cercare aria pulita. Prendo la prima maglietta del mucchio sulla sedia e scendo.
In strada tengo la mente occupata, tenendo fede alla promessa che mi sono fatto, concentrandomi sul suono dei passi che rimbomba tra i loggiati e i pilotis. Aria pulita, solo aria pulita.
Il battere delle suole dà forma a quattro note continue, ancora e ancora, una nenia a cui sembra unirsi ogni cosa che ho intorno, perfino il nervo del mio dente dolorante pulsa seguendo quel ritmo. Re si sol mi. Wish you were here. Una maledizione. L’overture di un’altra di quelle sere.
Prendo tempo sguainando l’ultima sigaretta del pacchetto che accartoccio, creandomi un obbiettivo per quell’angosciante vagare. Stringo la sigaretta spenta tra le labbra, non so come accendere, la tabaccheria è chiusa,e mi accorgo di essere completamente sudato. Non c’è anima viva, non c’è un cazzo di nessuno, eccetto la mia auto, parcheggiata proprio lì davanti. Non ricordo perché o da quanto possa essere qui, ma so per certo che ci troverò dentro un accendino.
Seduto al posto di guida scarto il nuovo pacchetto per poppare altra nicotina bollente, solo che in bocca ho ancora la sigaretta spenta di prima, con il filtro fradicio di bava che ha saldato la colla alle mie labbra. Le due sigarette si scontrano, la nuova si spezza e la vecchia cade, portandosi con sé uno strato di vermiglio. Due sigarette rotte e le labbra scorticate, piccole distrazioni che mi fanno sentire ancora più disperato.
Allora piango. E va tutto a puttane.
Re si sol mi, sento ticchettare al finestrino.
È Zanna che mi guarda senza espressione dietro i suoi capelli sudici.
Fa il giro dell’auto ed entra dal lato del passeggero «Avvertimi prima, coglione, non è che sto qui ad aspettare te» dice.
Mi avrà visto piangere? Domanda superflua, perché mi distrae da quello che sta succedendo. Non dovrebbe essere qui. Sto fermo e lo guardo, mentre giocherella con un ciuffo di capelli, scoprendo un orecchio dal lobo floscio e deformato perché privo di dilatatore.
Che schifo che fa, ma continuo a fissarlo senza dire una parola.
Lui invece non mi ha ancora guardato, si sente superiore, e si mette ad armeggiare dentro le tasche. Tira fuori qualcosa, che svuota sullo schermo crepato del telefono. Ipnotico si mette a frizionare la polvere con una tessera sanitaria. Perché sto zitto, cazzo? Perché non fermo tutto questo? È che sto cercando di leggere sulla scheda come si chiama veramente Zanna.
Zanardi, pare, ma non sono sicuro, è totalmente scolorita. Neanche quando allunga le mani con il telefono imbandito davanti a me riesco a leggere altre lettere.
Resto immobile, il che significa sprofondare.
«Che ti do stasera?» mi dice durante l’eucarestia.
Precipito. “Se tu fossi qui, stronza” penso.
Mi sporgo sul telefono e vedo il mio riflesso, e allora, per umiliarmi ancora di più, mi guardo sniffare quella roba che sale fino al cervello. «Mi rispondi, coglione?»
E finalmente, prima di venire ingoiato dal silenzio, prima della lacrima che sta per uscire per quella merda corrosiva, riesco a dire qualcosa.
«Prendo tutto»
**
Spingo a fondo l’acceleratore per non interrompere il sollievo dell’aria che entra dal finestrino. Guido con una tale scioltezza che mi immagino di essere su un motoscafo. Mi sento proprio in forma, ero stanco solo per il caldo. No, non è per la roba di Zanna, non mi sta dando nessun effetto. E poi, soprattutto, non penso a Violante… Non ricordo neanche come si chiama fra un po’. Alzo il volume dell’autoradio esaltato, schiaccio dei tasti, voglio musica adatta! Salto un pezzo dance, salto un pezzo lento, ancora un pezzo lento, poi il fruscio, altra musica di merda e allora premo CD.
Quando parte Wish you were here alzo il volume ancora un po’ e in un attimo mi ritrovo al mercato di Santa Elisabetta. Trovo pure un parcheggio vero. Voglio andare al Clubbino, sono così in forma.
Aspetta, prima mi faccio qualcosa. Rido.
Chiuso in macchina, tra il viavai della gente, esamino cosa mi ha dato il Sig. Zanardi. Vedo due pastiglie, erano tre in realtà, ma quel semaforo era durato veramente troppo, mi annoiavo. Comunque non sento niente. Apro allora la biglia di plastica, probabile è cocaina. Sì, è un ottima idea, mi farò un bel colpo, così arriverò al Clubbino bello loquace. Potrei fare a meno in una serata così serena, ma ormai…
Preparo tutto con maestria, sono troppo in forma, solo che non ho niente per tirarla su, ho dato tutte le banconote al vecchio Zanna. Mi contorco per cercare sotto i sedili, dimenticandomi di slacciare la cintura. Uno sforzo mica da poco, e sbavo sul sedile. Arrivo ai tappetini posteriori, e bingo! Una rivista! un sacco di pagine da arrotolare! È una copia di Internazionale. Non è mio. È di Violante.
In copertina uno di quei soliti titoli impegnati che non comprendo mica un granché:
VIOLENZA MEDIO ORIENTALE. Antefatti di guerra. Dalla Crisi annunciata alla rinascita estremista.
Ma che due coglioni. Pensare che eravamo anche abbonati.
Faccio per strappare quel giornalino del cazzo, con quella copertina del cazzo, ma non riesco. Mi resta in mano solo metà della prima pagina, e allora sai che faccio? La arrotolo tutta per un pippotto grande così. Sì, è un po’ troppo lungo e dovrò sforzarmi nel tirare, ok, ma almeno impara sta stronza.
Sniffo tutto, sia la mia riga panciuta che la bamba lasciata lì di lato per il dopo, e potrei andare avanti respirando qualsiasi briciola della macchina con quel fantasmagorico tubo.
Merda se brucia questa roba. Smetto di parlare tra me e me, tamponando gli occhi con i palmi delle mani. Non vedo più niente.
Poi passa. Metto a fuoco la rivista sgualcita con solo mezza copertina. Adesso dice:
VIOL
Ante
Dalla crisi Alla rinascita
Tutti si girano per il fragore della portiera che sbatte, ma andate a fanculo, sono sereno, sono in forma, adesso è il momento perfetto per sistemare tutto. Adesso è il momento di cercare Violante.
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