Mi chiamo Paul Anderson e ho 20 anni. Fuori dalla mia stanza, oltre la finestra, c’è Boston, Massachussets, d’autunno. Siamo nell’anno del Signore 1990, sul pianeta Terra ci sono 5.301.000.000 di persone e non uno stronzo che ieri sera mi abbia chiamato per sapere come stavo.
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La gioia dopo il crollo del muro si è rivelata una bolla di sapone e tutto sta lentamente scolorando nel buio più nero. Per dire: Saddam ha invaso il Kuwait con 100.000 uomini e 300 carri armati.
Dal giornale di stamani: “Con il risveglio di odi sopiti e di antichi conflitti stanno arrivando nuovi drammi e nuove desolazioni”.
Per fortuna è uscito l’ultimo disco dei Pixies.
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Studio all’Emerson College, ma solo per poco – me ne vado da questo schifo.
Vorrei fare lo scrittore o il regista, il che non è poi tanto strano considerando che sono nato a Studio City, il quartiere di Los Angeles dove sorgevano i teatri di posa del grande produttore Mack Sennett (il vero re della commedia), oggi CBS Studio Center.
Com’è crescere dentro un grande set a cielo aperto? Non saprei, sarebbe come chiedere a uno che è nato cieco com’è essere ciechi: il tizio non ha la più pallida idea di cosa sia vedere un albero, una macchina o una donna, non ha il benché minimo indizio su cosa sia vedere di per sé! Quindi, perdonatemi, ma è una domanda del cazzo.
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Allora, dicevamo: muro di Berlino, speranze infrante, Saddam, carri armati, guerra del golfo, “Bossanova” dei Pixies, Gelindo Bordin che vince la maratona di Boston in rimonta – avreste dovuto vederlo – e Greta Garbo morta. Saranno una bella merda gli anni novanta, me lo sento.
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Il professore d’inglese. Il professore d’inglese è un tizio grande e grosso che veste sempre in modo sportivo, scarpe da basket, grandi magliette spiegazzate e pantaloni larghi, a volte una bandana in testa. Credo che sudi molto, e quando dico molto intendo davvero molto. È il tipo di professore che ferma la tua mano che sta per lanciare un fiammifero sulla benzina che hai metaforicamente sparso per le aule e i corridoi della scuola.
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Potrebbe tranquillamente suonare in un gruppo grunge o tenere conferenze sul calcolo differenziale.
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Il primo film che voglio girare è una cosa un po’ strana e delirante tratta da “Rumore Bianco” di Don Delillo. Ne ho parlato con il professore l’altra sera (ha dato il suo numero a tutti gli studenti, nel caso ci venisse in mente una domanda una volta arrivati a casa e non potessimo aspettare il giorno dopo). Per lui Delillo è un vero idolo. Lo adora. Mi ha tenuto un’ora al telefono per parlarmi di cosa significhi per lui quel libro e del fatto che dovessi assolutamente leggere Pynchon, è scandaloso che ancora non l’abbia fatto.
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Pregava. Quando ha tagliato il traguardo, Gelindo Bordin pregava.
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Lo hai scritto tu o è una traduzione di qualcosa scritto da p.t. anderson?