di Giorgia Papagno (essi vivono)
Non sono sicura di sapere perché io sia andata a vedere Parthenope, forse perché non vedo Alberton da più di sei mesi – mi è mancato – e Alberton si dichiara grande fan di Sorrentino – io no – e so che l’unico modo per farlo schiodare dalla provincia della provincia e scendere in città in orario per un appuntamento è prenotare dei biglietti in una sala piccola; o forse perché all’orrore pomeridiano e luminoso della domenica di novembre è preferibile la noia pomeridiana in un posto più buio e caldo di casa mia, ma da quando è morto mio padre il cinema – come molti altri piaceri – è diventato un calvario di iperventilazione e vescica compressa, un esercizio di pazienza e distanziamento mentale che mi serve per convincermi che sì, so ancora respirare e no, non sono diventata incontinente a trentasette anni, che sono perfettamente in grado di silenziare la mia voce narrante e lasciare spazio ad altre storie, altre vite, ma la verità è che la mia voce narrante sta già anticipando e cucendo commenti standard, abbastanza generici da non farmi prendere posizione in merito a un film che – lo so già – non seguirò e abbastanza puntuali da non farmi sembrare ignorante (“ho bisogno di tempo per metabolizzarlo, non saprei ancora dire se mi è piaciuto o no ma di sicuro mi ha dato qualcosa, è una poetica che non mi appartiene ma che convince, intrinseca coerenza, pura estetica e la compagnia bella del Caulfield, voglio osare: nouvelle vague ma b a r o c c a”).
E ho freddo, freddo come all’ultima ora di lezione di filmologia vent’anni fa (a volte dico dieci, a volte dico venti e comunque sbaglio), seduta tra Filippo e Tommaso con gli occhi puntati al volto della Vitti deformato sul telone, e la Salvatore che ci istruisce sulla fotogenia del vento, e Tommaso che si asciuga la fronte con il dorso della mano e si slaccia il bottone del colletto, tanto che io gli avevo chiesto sussurrando se stesse bene, e poi a Filippo con lo stesso tono «alzati che Tommaso vuole uscire», lui già in piedi pronto per scivolare via, urtandoci con la borsa dei libri, noi che seguiamo la sua sagoma scendere le scale laterali, seguendo le luci segnapasso, e uscire sbattendosi dietro la porta di sicurezza. Seppi dopo qualche settimana da Filippo che Tommaso aveva firmato la rinuncia agli studi e si era trasferito a Londra: dove sei ora, Tommaso? Io ti conoscevo bene. Ma invece non conosco questo sullo schermo, chi è, il fratello? Oddio ma questo chi è, oddio il prevedibile incesto, ma forse non è incesto, forse non è il fratello, forse è il cugino, è comunque incesto? Peccato però essere figlia unica e non aver nessuno con cui andare a Capri e sbronzarmi e piangere la morte di mio padre, ma poi Capri sarà la Cortina del Sud, meglio Procida, Procida a fine agosto sotto la pioggia per mano con Federico e neanche una pizzeria aperta, chiove n’copp a Procida e tu t’e scurdat’ ‘e me e la sabbia nera e i gatti bianchi e pigri in cui – avevo detto a Federico – avrei voluto reincarnarmi, ma perché Silvio Orlando è sempre depresso, è depresso davvero? Forse è una persona equilibrata e felice, spero di sì.
Alberton alzati che devo pisciare e questa sala d’essai ha il cesso en suite, scivolo via come Tommaso vent’anni fa e mentre mi libero chiedo a Google: Silvio Orlando depresso? Silvio Orlando dichiara all’intervistatore del Corriere io ho la sindrome dell’impostore e poi domanda la conosce? Con ancora le braghe calate mando un Whassup ad Alberton, lo leggerà poi e rideremo insieme, Silvio Orlando uno di noi, ma come? L’ha lasciata l’università? Ecco, l’ennesima delusione per Silvio Orlando dopo la morte di Pertini, l’antropologia è una bella materia e avrei avuto una scusa per viaggiare, con le Lettere Italiane stai in Italia, e ti fai le ferie a Procida e lentamente ma inesorabilmente perdi la poesia per i film lunghi e lenti, ma allora perché mi viene da piangere? Mi risiedo a gambe incrociate e Alberton mi dice con la mano a cucchiara che sta pensando a Lori Del Santo quindi io sto piangendo non solo per il richiamo del mare e del sole e la giovinezza che ti fugge tuttavia ma anche per Lori del Santo, perché non avrò mai la pazienza di farmi crescere i capelli, perché non so che fine abbia fatto Tommaso, perché non avrò mai fratelli né figli – la maternità non mi ha seguita proprio da nessuna parte – chissà se anche la Sandrelli soffre di sindrome dell’impost… dell’impost- trice? Da giovane – mi aveva detto mia madre – era così cagna che la dovevano doppiare ma io l’ho sempre sentita bellissima e vicina e spero – da vecchia – di essere come lei, da vecchia, da vecchia, ma la Sandrelli ancora non è arrivata e forse ho sbagliato l’abbinamento trailer-lungometraggio, peccato, ero qui per la Sandrelli e per Alberton, che si stropiccia la faccia e guarda l’orologio, il fan di Sorrentino.
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