Domenica sera, in quel di Los Angeles, andrà in scena il consueto appuntamento annuale in cui Hollywood celebra se stessa: gli Oscar.
Stavolta i film che hanno ottenuto il maggior numero di candidature e che si contendono i premi più grossi sono sostanzialmente quattro: La La Land, Moonlight, Arrival e Manchester by the Sea.
La La Land è un musical con protagonisti il giovane Hercules (Ryan Gosling) e Emma Stone, aspirante jazzista lui, aspirante attrice lei, che provano a realizzare i loro sogni d’amore e di gloria nella città delle stelle, Los Angeles. Il film, furbetto e ammiccante, celebra la Hollywood dei bei tempi andati ibridando il musical classico (Cantando sotto la pioggia, Un americano a Parigi) con le pellicole musicali di Jacques Demy (Les parapluies de Cherbourg, Les demoiselles de Rochefort) e le derive postmoderne del genere (Moulin Rouge!). Il regista è il giovane Damien Chazelle, che già si era fatto notare un paio di anni fa con Whiplash. Avendo ottenuto 14 candidature ed eguagliato così il record di Titanic ed Eva contro Eva, La La Land sembra il favorito per la vittoria dei premi più importanti (miglior film, regia, attore e attrice protagonista).
Moonlight è un racconto di formazione in tre tappe, che segue l’educazione sentimentale del protagonista Chiron dall’infanzia all’adolescenza fino all’età adulta: le difficili giornate di un ragazzino nero bullizzato in un quartiere dominato da droga e violenza; la scoperta della (omo)sessualità; la lotta per trovare una propria strada. Girato con uno stile virtuosistico che rimanda a Wong Kar-Wai (colori saturi, camera vorticante, nuvole di fumo inquadrate bene, inserti di musica classica, estetismi a go-go), il film ha un’intensità emotiva davvero invidiabile, che lo eleva al di sopra della classica pellicola con-tante-buone-intenzioni-e-nulla-da-dire.
Arrival, del canadese Denis Villeneuve, è un film di fantascienza che sfrutta la premessa dell’arrivo sulla Terra degli alieni per parlare di molto altro: il linguaggio, il tempo, i legami affettivi, la nostra visione e comprensione del mondo. Se la scrittura è a tratti claudicante, la pellicola è comunque un’esperienza audio-visiva immersiva e affascinante, supportata da una protagonista (Amy Adams) in stato di grazia.
Manchester by the Sea, diretto da Kenneth Lonergan, è un dramma familiare fatto di lutti, disastri, incomprensioni, castrazione emotiva, risse e frustrazioni: gli ingredienti ideali per un sabato sera di leggerezza.
Cos’altro c’è agli Oscar?
Per l’Italia troviamo, nella categoria miglior documentario, Fuocoammare di Gianfranco Rosi, già vincitore dell’Orso d’oro a Berlino nel 2016. Lampedusa, oggi: una piccola comunità isolata; Samuele, un ragazzino che ama cacciare con la sua fionda; la tragedia dei migranti; il dottor Pietro Bartolo, medico dell’isola e primo testimone della morte e del dolore che arrivano coi barconi. La telecamera è lì, spietata, tale è l’urgenza di raccontare.
Nella categoria miglior film straniero il favorito è Vi presento Toni Erdmann, della tedesca Maren Ade: una (tragi)commedia trascinante in cui un padre cazzaro tenta di ristabilire i rapporti con la figlia, una macchina da guerra in carriera che pare aver perso ogni traccia di umanità. Un’incredibile capacità di osservazione e comprensione delle dinamiche psicologiche, affettive, sociali ed economiche, battute effervescenti, spunti surreali geniali, un’analisi profonda della condizione umana: si può dire capolavoro?
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