di Carmen Ciarleglio
Se dico nettezza penso al nettare, per assonanza.
Il nettare, poi, che cosa straordinaria che è.
Le api bottinatrici, ad esempio, ne compiono di giri per trasportarlo nella loro borsa melaria, un po’ alla volta, verso l’alveare. Con la loro proboscide lo risucchiano dal fiore, lo mettono in saccoccia e all’ingresso lo consegnano ad altre api, quelle che da brave chef procederanno con la lavorazione, aggiungeranno un altro pizzico di enzimi e per finire uno strato di cera. Un lavoro routiniero, ma di cui sappiamo ben poco.
Diciamola tutta: basta che le api si salvano, per il perché, il cosa e il come scatta il divieto di avvicinamento all’informazione.
Nelle mattine in cui alle 5:30 mi ritrovo a camminare lungo le strade del mio paese che ancora dorme, la mia mente non chiede dazio ai pensieri e concede il passaggio alle storie più disparate, tipo questa delle api, argomento sempre attuale.
Che nettezza mentale, mi dico.
A questo punto mi converrebbe parlarne con gli spazzini che incontro ogni dì, indaffarati a raccogliere quelle minuscole carte che, di certo, le vostre mani non meritavano spostare fino al cestino.
Ma non trovate anche voi un legame tra il minuzioso lavoro delle api e quello ignorato dei silenziosi spazzini? Non potete rispondermi, e forse è un bene.
Mh, api e spazzini. Se le prime vi sembrano perla nobile, non credete il contrario dei secondi. Michelangelo la pensava come me, che oggi la penso come lui.
Nessun paragone con le api in N.U.- Nettezza Urbana, ma in 11 minuti di poesia e uggia quanto mi son sentita irriconoscente verso coloro che puliscono le nostre disattenzioni materiali, urbane, di animi incivili. E poi, saltellante nel tuo trench, perché non gli accenni un saluto, con la manina almeno, la stessa che ha gettato quella carta a terra? NU, preferisci far finta di nulla.
Però io, mentre riguardo il documentario, continuo a pensare alle api insieme agli spazzini. Cioè, quello che diventerà miele viene da una sorta di secondo stomaco delle api, la spazzatura che noi stessi produciamo ci fa storcere il naso ed è un po’ come dimenticare che nel letame ci sguazza il vostro futuro cibo.
“A ciascuno il suo destino” ti salta in faccia durante la visione e a guardare quel netturbino che si sofferma sulla suddetta scritta risulta chiaro come il cambiamento non è di chi lo vive.
E proprio in una di queste sere, fissando il soffitto bianco, ho pensato alla sopravvivenza delle api, all’interesse che poniamo in essa, eppure non siamo in grado di relazionarci con l’ambiente.
Che poi un grattacapo tira l’altro e quindi, alla fine di tutta questa storia, semplicemente mi chiedo: quando impareremo che nettezza non significa spazzatura?
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