di Lavinia Ferrone
Avete presente quando vi autoinducete la nausea scorrendo in giù col cellulare fissando passivamente le vite degli altri, cioè, più che le vite degli altri, la roba che insomma gli altri mettono su facebook, che teoricamente dovrebbe essere la loro vita reale ma che in realtà è la rappresentazione della vita reale su facebook. Ecco in quei momenti lì. Avete presente quando vi passano davanti agli occhi eventi di ogni tipo.
Il workshop su come imbustare le bustine da tè, il workshop su come fare un workshop, il workshop su come allacciarsi le scarpe bio, il wokrshop bio su come non sbattere la testa contro i cartelli stradali mentre cammini fissando il cellulare perché stai mettendo parteciperò ad un workshop su come non sbattere la testa contro i cartelli stradali mentre cammini fissando il cellulare perché stai mettendo parteciperò ad un workshop su come non sbattere la testa contro i cartelli stradali mentre cammini fissando il cellulare perché stai mettendo parteciperò ad un workshop su come…mio dio. La realtà è tale finché non si trasforma in loop di se stessa, diventando sua rappresentazione. Insomma io ho messo parteciperò ad una rassegna di cinema sperimentale dedicata a Maya Deren, tenutasi al C.P.A. l’altro giorno, cioè l’altra sera. Parcheggio la macchina, mi dirigo verso l’ingresso, salgo le scale, l’edificio sembra vuoto, a parte dei rumori anonimi in cucina. Vedo in lontananza una freccia con sù scritto ‘cinema’, salgo altre scale. Intorno a me graffiti psichedelici. Sono sola, sento rimbombare i miei passi che insieme alla mia ombra mi illudono che insieme a me ci sia qualcuno. Entro in una stanza, c’è un bar, poche persone fissano un televisore. Nessuno si accorge della mia presenza. Anche io fisso il televisore. Vedo una donna sul davanzale di una finestra che fa per buttarsi ma poi scende ed entra in una stanza, ha in mano una chiave che appoggia su un tavolo ma la chiave diventa un coltello, nel frattempo la donna si specchia. Poi mi rendo conto che la donna sta seguendo una figura con un mantello nero e il volto di specchio. Poi la donna si mette stesa sul letto, arriva un uomo, accanto alla testa della donna si materializza il coltello, lei prende il coltello e guarda l’uomo minacciosa, c’è un primo piano sulla faccia dell’uomo, poi si capisce che anche l’uomo si stava riflettendo su uno specchio, e lo si capisce dal fatto che questo specchio si rompe, perché la donna ci lancia il coltello. Rompendosi, dietro lo specchio, si vede una spiaggia, la telecamera arriva sulla spiaggia. Si vede la donna di prima vedere se stessa che corre lungo la battigia. Poi si vede lei che corre sulla battigia che raccoglie dei sassi, ma ne vuole raccogliere troppi per cui le cadono di mano. Poi si vede sempre lei, che sempre sulla battigia, pettina i capelli a due donne, una bionda e una mora. Quindi sono tre, una che corre cercando di raccogliere sassi, una che pettina due donne, e una che guarda.
Un totale capolavoro di estetica, di fotografia, di ingegno, di manifattura. Un capolavoro di senso. Questi erano ‘Meshes of afternoon’e ‘At land’ di Maya Deren. 1943 e 1944. Lei è regista e interprete. Ai tempi, quando questa donna ha ideato, scritto, recitato, girato questi film, aveva 25 anni.
Altri capolavori di Maya Deren:
A study in coreography for camera.
Ritual in transfigured time
Meditation on violence
The very eye of night.
Da notare l’avanguardia. Questa donna ha utilizzato in video immagini assolutamente obsolete per l’epoca (vedi il tai chi in ‘Meditation on violence’).
Stavo bevendo del vino seduta su uno sgabello quando ho visto un ragazzo davanti a me seduto per terra col fumo denso che gli usciva dalla bocca come da un buco nero senza fondo. Con gli occhi ancora più neri, non sbatteva mai le ciglia. Girandomi mi rendo conto che intorno a me c’è tantissima gente, con gli occhi neri, bucati, infossati dentro al cranio, con la fronte prominente, fumano, gridano, mi vengono addosso. Si ferma un uomo che mi chiede se sono di origine greca ed io scuoto la testa ma non rispondo. Una ragazza festeggia il compleanno stappano uno spumante, lei bacia in bocca due uomini molto più vecchi di lei, che a quanto pare compie ventisei anni, ha la mia età. Si sente una musica orribile, ci sono due televisioni, entrambe mandano il rally. Macchine pinate vanno a tutta velocità, sbandano sulle curve, su questi due televisori contemporaneamente, come fossero uno per occhio, il destro per il destro, il sinistro per il sinistro. Io non capisco. Devo uscire, devo uscire. Devo rompere uno specchio e devo uscire.
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