di Marco Parracciani
Sogno di cavalcare un bellissimo baio. È un po’ nervoso (ma anche io non sono proprio calmissimo); mi trovo in un’immensa prateria che potrebbe rasentare gli argini del Rio Grande (Texas Occidentale o giù di lì), di fronte a me il nulla.
In realtà potrebbe essere anche un campo di Larciano, vicino a dove lavoro. Uno dei miei lavoretti saltuari che, incollati insieme, formano ciò chiamiamo stipendio.
Io, a cavallo? Mai nella vita.
Oltretutto i cavalli mi fanno proprio cacare. Poveracci, non è colpa loro, è che a me fanno paura, e di solito ciò che fa paura si fa prima a odiarlo. Si risolve la questione in due passi: il primo è quello di evitare l’oggetto della tua paura come la peste e poi, tramite il disprezzo, elevare te stesso a una dimensione superiore rispetto all’oggetto detestato, e il gioco è fatto. Comunque è un sogno, e nel sogno cavalco ‘sto baio incazzato fra il Rio Grande e il Mugello, da solo e senza troppi pensieri.
A un certo punto una mano – ma potrebbe essere un gigantesco indiano invisibile, oppure il mio animale guida che, per dovere di cronaca, sul blog “alfemminile.com”, dopo un accurato test in cui mi viene chiesto anche quanti gruppi WhatsApp ho e se chiamo le mie amiche “amo” “love” o “con il loro nome”, risulta essere l’Orso – mi prende il mento, come a volermi strappare la faccia. In effetti un orso me lo potrebbe scuoiare il viso con una zampata… però cazzo, proprio il mio animale guida!
Dopo questo colpo improvviso (che avverto anche fisicamente), cado da cavallo ma non sento la botta, mi sveglio prima. Il letto trema. La stanza trema, io tremo, tutto trema. Animale guida il cazzo, questo è il terremoto.
Giù dal letto, ci vestiamo in fretta.
Io ne ho sentiti e visti anche di peggiori, per lei è il primo. “Carmen, welcome to Mugello”. Una volta vidi tutti i libri spostarsi come in Interstellar, ma (SPOILER ALERT anche dopo 5 anni dalla sua uscita) nessuno voleva comunicare con me, e le ante degli armadi si aprivano di botto tipo Poltergeist (forse questo me lo sono inventato, ma voglio ricordarmelo così. Poltergeist, lo spirito bussatore).
Ma questo terremoto è diverso, ti entra nei piedi e scuote le ossa. Saranno quasi ottanta le scosse che si susseguiranno per tutta la notte, dalle 4.30. Siamo distrutti, impauriti e vestiti di tutto punto, pronti a uscire di casa per andare al punto di raccolta. Alcuni sono già fuori, tutti nel quartiere hanno acceso le luci e le televisioni. Si parla a voce alta, una vicina ride mentre aspetta la figlia che arriverà a momenti. Una scossa ogni cinque minuti. Poi ogni dieci minuti, ogni quarto d’ora e ogni venti minuti. Intanto il telegiornale va, non si dorme, la testa gira, la terra trema. È tutto un casino. La nostra casa non ha danni, i guai seri sono nel paese accanto, con sfollati-palestre/dormitorio aperti-zona rossa in centro-chiesa con crepe, un bel “pacchetto completo terremotati”.
Sullo schermo appare Mauro Magazzino: due lauree, sedotto e abbandonato dagli ambienti universitari, allergico ai lavori del cazzo. E c’ha un sacco da fare. Ha così tanto da fare che suona – tutto il giorno e male – il sax, tenta – soprattutto la sera e malissimo – di rimorchiare, ma riesce alla grande a litigare con i genitori e a farsi odiare da conoscenti e vicini di casa.
Vive in una bolla, Mauro, una bolla tragicamente comica fatta di inedia e pensieri, e lui ne è sia vittima che carnefice. Ed è strano come questa sensazione corrisponda al momento di stasi che intercorre fra una scossa e un’altra dello “sciame sismico” che sta condizionando la nostra esistenza in quel preciso momento.
Il “vuoto”, una roba complicata da spiegare. Di certo non ci metterò bocca io; fino a un’ora prima ero a cavalcare un cazzo di baio fra le sconfinate praterie del West Mugello, e ora mi ritrovo a contare i minuti che scorrono e sperare che la casa, o qualsiasi altra cosa più pesante di un lampadario, non ci caschi in testa. Non parlerò di vuoto o di altro, non ne ho proprio le capacità, anche perché la sensazione che abbiamo provato è stata un misto di pesantezza alla testa, sguardi catatonici persi nella stanza, e la paura di perdere in un attimo la persona più importante nella nostra reciproca attesa del nulla. Ecco cos’è il terremoto, è uno schifo di attesa del nulla.
Quindi – sarà la vecchiaia che avanza – sento solo di dare un consiglio: quando la terra trema, ma anche quando sta ferma e a tremare siete voi, guardatevi “Mauro c’ha da fare” di Alessandro Di Robilant.
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