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In fuga dalla bocciofila

Blog dal titolo fuorviante in cui si parla di cinema tra una divagazione e l'altra

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Making a murderer | Steve Avery come in un romanzo di Kafka

3 Ottobre 2016 di ferruccio mazzanti

Chi vorrebbe essere Steven Avery? Forse solo un personaggio di Kafka alla ricerca di una concrezione dal piano delle idee a quello della realtà. Sì perché Steve Avery non solo esiste realmente, ma la sua storia sembra un romanzo distopico tra i più angoscianti: non c’è niente di peggio che vedere realizzarsi le profezie di un provocatore fantasioso.


Nel 1985 Steve viene arrestato per stupro e tentato omicidio della signora Penny Beerntsen nella contea di Manitowoc, Wisconsin. La corte stabilisce una pena detentiva di 32 anni, nonostante che Steven Avery avesse molti alibi che lo scagionassero (sì non uno solo, ma diversi) e nonostante che le prove contro di lui derivassero solo dalla descrizione che Penny Beerntsen aveva elargito in stato confusionale alla polizia. Per i giudici non aveva alcun significato che il ritrattista (quell’omino a cui generalmente la vittima sussurra piangendo “aveva il naso così e gli occhi cosà”, e lui con maestria tratteggia un volto che ha il valore [pur sempre relativo] di un’accusa) che il ritrattista avesse già identificato tramite foto segnaletica il volto del principale (e a quanto pare unico) indiziato ovvero Steve Avery ancora prima di dipingerlo su un foglio A3 con un elegante carboncino nero. La stessa cosa per le prove inquinate dalla polizia e poco importa se lì da quelle parti, a Manitowoc, Wisconsin, l’FBI seguisse un assassino seriale che guarda caso fisiognomicamente assomigliava (che sfortuna) a Steve e che commetteva proprio i reati imputati a Steve e che Steve sostenesse di essere innocente e che Steve lo fosse realmente e che, ultima ma anche prima importantissima constatazione: non esistessero prove certe della colpevolezza di Steve Avery.
Steve nel 1985 finisce in prigione e continua a chiedere una revisione del proprio processo, gridando alla propria innocenza, ma ci vorranno 18 anni (ripeto: 18 anni) prima che l’analisi del DNA riveli che Steve non c’entrava nulla, era innocente sul serio, non stava sparando cazzate quando diceva che lui quel fatidico indimenticabile giorno era coi suoi familiari e anche i suoi familiari allora erano sinceri quando sostenevano che Steve in realtà era con loro e ok scusaci Steve abbiamo sbagliato, pardon: ti promettiamo che non succerà mai più una cosa del genere.
Con l’appoggio di associazioni di vario genere Steve (ormai divorziato e senza un lavoro e una vita distrutta da un errore giudiziario) chiede un indennizzo da 36 milioni di dollari, due milioni per ogni anno che ha passato in carcere. Inizia così un processo ai danni della polizia di Manitowoc dove si scopre (anche se non si riesce a dimostrare in modo inequivocabile) che lo sceriffo era al corrente di tutto, hanno inquinato le prove, il serial killer reo dello stupro è stato sbattuto in prigione poco tempo dopo Steve e bastava incrociare i dati e fare due più due e questo fraintendimento non si sarebbe mai verificato o almeno non sarebbe durato 18 anni, dico 18 anni, DICIOTTO. E allora perché hanno taciuto? Che ha fatto Steve per meritarsi questo trattamento?
Ma nel 2005 dopo due anni di libertà, durante le indagini contro l’operato del dipartimento dello sceriffo, ecco che la giornalista Teresa Halbach scompare misteriosamente. L’ultima persona che l’ha vista è stata proprio Steve Avery. Iniziano le ricerche e chiaramente… dove trovano l’automobile di Teresa e i suoi piccoli frammenti ossei carbonizzati? Proprio davanti – tipo a 10 metri da casa di…. Steve Avery. Non può che essere stato Steve a violentare brutalmente, sparare in testa, fare a pezzi e bruciare in un grandissimo falò il miracolo che Teresa Halbach rappresentava in quanto essere vivente e così Steve Avery finisce nuovamente in… dove finirà nuovamente Steve? Ve lo devo spoilerare?
Questo è a grandi linee quel che succede nella prima puntata della serie documentario Making a murderer. Dico: questa è solo la prima puntata. Sono otto puntate. Otto ore di orrore documentaristico raccontato magistralmente da Laura Ricciardi e Moira Demos,  che hanno speso dieci anni della loro vita per far sapere al mondo quale orrore può essere la concezione dello Stato di Hobbes (questo Leviatano che è solo un re nudo) quando il potere sta nelle mani sbagliate. Sì, ovvio, lo sappiamo tutti, non importa ripeterlo ancora una volta, ma questo lungo documentario non ripete nulla, ci mostra solo come Kafka ancora una volta sia realtà.
Quando hanno chiesto al presidente Obama di intervenire in questo spinoso caso, Barack ha simpaticamente risposto che lui (il Presidente degli Stati Uniti d’America) non possiede l’autorità per intervenire (quello che viene definito come l’uomo più potente del mondo), cioè come dire: Steve Avery rimarrà in prigione a vita a causa di un omicidio che non ha commesso, e questo a quanto pare significa che nessuno può salvare Steve Avery.
Steve se tu potessi sentirmi vorrei che tu sapessi che, per quel che conta, voglio affermare: Liberate Steve Avery!

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Postato in: Recensioni vere, Sono figo solo io Tag: Hobbes, Kafka, Making a murderer, Manitowoc, Penny Beerntsen, Steve Avery, Teresa Halback, Wisconsin Fai un commento

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