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In fuga dalla bocciofila

Blog dal titolo fuorviante in cui si parla di cinema tra una divagazione e l'altra

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L’odio | Identificazione

16 Febbraio 2021 di simone lisi

Ieri sera ho rivisto L’odio dopo tantissimi anni. L’ho rivisto con mia moglie.
Mi appunto queste due frasi, mentre controllo la posta elettronica.
C’è solo spam e una mail dell’Esselunga.
Si dice che sono cambiate non so quali condizioni d’uso della Fidaty Card e se mi prendo cinque minuti per compilare un questionario in cui mi profilano a puntino, ci sarebbe la possibilità di vincere un iPhone11. Partecipo al questionario Esselunga come prima azione della giornata. Ed è là che si configura il pensiero (età del coniuge) che in effetti, sì, sono sposato. Acconsento a più o meno tutto quello che mi stanno chiedendo, pende su di me la promessa del premio, mentre un retropensiero torna al film visto ieri sera e a come tanti anni sono passati da quei pomeriggi della mia adolescenza a guardare L’odio con J e con il Cecco.
Ieri sera con mia moglie abbiamo rivisto L’Odio o meglio l’ho rivisto io, ché lei non lo aveva visto mai. Com’è possibile, ci domandavamo, considerate le nostre vite che un questionario on-line avrebbe probabilmente fatto ricadere nella stessa casella?
Come si spiega che abbiamo avuto due percorsi tanto diversi? Come è stato possibile, mi chiedeva lei, che io vi entrassi così in contatto da farne un feticcio? E di contro, come è stato possibile che lei, cresciuta in una città a venti chilometri da questa, noi separati da un solo anno di distanza, non ne venisse toccata mai?
Nell’ipotetico questionario lasceremmo la risposta in bianco.
Nessun ipotetico iPhone 11 in palio.
Abbiamo guardato il film sul computer, con mia moglie, grazie alla piattaforma Mubi, che ci ammanta di un certo snobismo. Poi però, in effetti, Mubi lo usiamo (o la usiamo) pochissimo o solo per vedere i film più ovvi. Le cose impossibili turche o filippine le lasciamo alla gente malata di testa. Siamo il centro-sinistra della snobberia, ecco la verità.
Abbiamo visto il film in lingua, mentre all’epoca lo vedevamo doppiato. Non esistevano i Dvd, era una videocassetta quella che guardavamo in mansarda, sempre una mansarda, a casa mia o in quella di J o del Cecco. Le mansarde dove ci asserragliavamo a guardare L’Odio.
Forse l’idea di vedere i film in lingua originale non era di moda o non esisteva il concetto, nei primi duemila. Forse mancava la tecnologia. Guardavamo L’Odio, lo guardavamo di continuo, sapevamo intere battute a memoria.
C’era anche un processo di identificazione tra i protagonisti e noi tre amici, spiego a mia moglie.
Ma come identificazione? Loro stanno in una banlieu, voi eravate alle Cure.
Risate fuori scena.
Vero, eravamo alle Cure, ma non credere che le Cure fosse a quell’epoca il quartiere fighetto che è oggi… e parte una qualche arzigogolata spiegazione sociologica che non arriva da nessuna parte. La verità è che ha ragione mia moglie.
Tuttavia, l’identificazione c’è stata. Per un caso oppure no, J è diventato un graffitaro, come il Said del film. Mentre il Cecco ha visitato e ha abitato per anni il mondo delle canne, come Hubert.
E tu? Mi chiede lei.
Non saprei dire. Io niente.
Quando ci siamo conosciuti, mi dice lei, ti vestivi ancora così. Con quello stile da banlieu francese. E avevi quei capelli rasati. E lo sguardo cattivo e sembravi uno che andava a ballare la techno.
Ecco l’identificazione, ecco Vinz, il terzo personaggio che emerge.
Penso al me di oggi e dico a mia moglie che l’unica cosa che mi è rimasta de L’Odio è l’amore per il brand Carharth.
Ma poi capisco che anche questo pensiero cinico, invece, è chiaramente un pensiero alla Vinz.

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Postato in: Oceani di autoreferenzialità Tag: Cecco, J, L'odio, Le Cure, Mathieu Kassovitz, simone lisi, vincent cassel Fai un commento

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