Sostengono i mistici orientali che se fai schifo nella prossima vita sarai cacca. Meritocrazia? No, reincarnazione.
Che poi magari essere capra o cane di piazza Alameda non è per forza una punizione. Anzi, per nulla. Però sembra questo.
Ma quello che voglio dire è che per conseguenza, anzi per opposizione, ci sarà un ascendere. Tu prima sei pianta, prima ancora eri sasso, poi sarai capra o cane di piazza e poi sarai uomo perché passando di lì – dall’essere uomo – troncherai il teatrino samsara. O potrai troncarlo. Benissimo.
Solo che non si vede perché o cosa di un animale potrebbe alla fine essere meritevole o de-meritevole. Cagare e pisciare sul letto del padrone è giusto o sbagliato?
Direbbe Javier poeta andaluso che noi applichiamo categorie umane a valori che non ci stanno a questo, e l’ho capito dopo una settimana che provavo ad addormentarmi con quel film thailandese, lo Zio Bunmè.
La spiegazione del film a questo gravoso interrogativo è che sì, chiaro, nell’animale c’è l’istinto e pertanto non si vede dove sta il Santo merito. Lui sembra, lui il regista thailandese, che stia parlando di una sorta di vocazione alla libertà, che Javier poeta andaluso chiamerebbe vocazione alla felicità, equivocandosi, fidandosi di Borges e non di sé.
O forse mi sbaglio. C’è nella mucca un principio, una vocazione di libertà. E questo condurrebbe a un avvicinamento, o allontanamento, dai gironi infernali, invernali. Il buddismo e il merito, a ogni modo, sono concetti che fatico a comprendere.
Sarà perché c’ho litigato da bambino, con mio padre e i buddisti: il merito e l’etica protestante di mio padre mi annoiano terribilmente. Io voto per la Grazia e il politeismo occidentale.
Racconto apparso originariamente sul blog Scrittori Precari.
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