di Viola V. Giacalone
Quando penso a Parigi, spesso ultimamente, penso alla quotidianità. I colpi di scena restano sempre gli stessi e li ho elencati nella mia testa tante volte, è mera mitologia. Le cose e i gesti che ripetevo sempre hanno tutta una profondità diversa invece.
Per quella che mi sembrò un’eternità, ma che in realtà furono soltanto due mesi, lavorai alla Librairie du Cinéma du Panthéon, l’ultima libreria specializzata in cinema di Parigi, dove si andò a creare una felice quanto bizzarra quotidianità.
La libreria è giusto accanto al Cinéma du Panthéon, in Rue De la Sorbonne. Quando a 16 anni andai a Parigi in vacanza e la vidi, non potevo immaginare che un posto così cool esistesse davvero. Vendevano vecchi manifesti cinematografici e c’era un vero Juke Box. Sei anni dopo avrei scoperto che il Juke Box funzionava, anche se male, e che il proprietario non sapeva niente di cinema. L’unica cosa che gli interessava era vendere la sua orrida linea di oggetti di cartoleria, e il té. Era ossessionato dal té e voleva che lo servissimo a chiunque entrasse, ma lui non veniva mai alla libreria quindi non servivamo il té a nessuno. Era un’anarchia.
A me e agli altri stagisti invece, come ad H., il capo libraio, il cinema piaceva molto. Quando non c’erano clienti (spesso) facevamo gossip sul mondo del cinema francese. Quando H. andava in pausa, rotavo sulla sedia girevole, sfogliavo riviste, mettevo canzoni nel juke box e sistemavo i libri negli appositi scaffali, ce n’erano un’infinità: libri scritti dai registi, libri sugli attori, libri scritti dagli attori sui registi, e libri sul cinema erotico degli anni ’70.
I clienti, loro, erano di un mondo a parte. Perlopiù anziani cinefili, venivano a chiedere manoscritti introvabili e restavano le ore a chiaccherare. Un signore elegante passava ogni mercoledì e comprava una sola cartolina, mi sono sempre chiesta per chi. Una volta venne una vecchia attrice a comprare una biografia su sé stessa. I giovani erano pochi, studenti di cinema molto hip.
I due peggiori clienti, erano il mio ex, A., e un corteggiatore insistente. Quei due avevano iniziato a presentarsi a fasi alterne, A. solo per darmi fastidio e il corteggiatore, beh, lui chiedeva ad H. di ordinargli dei costosissimi cofanetti di cinema giapponese e mentre H. digitava ne approfittava per chiedermi cosa facessi quella sera. H. interveniva sempre per aiutarmi, ma faceva il tifo per lui perché aveva incrementato gli incassi.
La libreria organizzava degli incontri con gli autori, o con i registi dei film che passavano al Cinéma du Panthéon. In queste occasioni dovevo assicurarmi che tutto fosse perfetto per il rinfresco, che consisteva sostanzialmente in grissini e vino (la qualità del vino comprato era direttamente proporzionale alla celebrità dell’ospite).
Prima di ogni incontro prendevo le scatole di bicchieri dal magazzino, ancora macchiati di vino rosso dall’evento precedente e andavo al bar del Cinéma per lavarli, chiedendomi chi ci avesse bevuto. Richard Bohringer? Céline Sciamma?
Quando entravo nel cinema non c’era nessuno, perché la bigliettaia si occupava anche di proiettare i film ma Il bar, arredato da Catherine Deneuve e Christian Sapet, era sempre pieno, per quanto può esserlo un posto elegante. Sui divanetti le ombre dei personaggi di Mad Man che discutevano a bassa voce di affari e sorseggiavano cocktails. Li osservavo assorta.
Una volta venne a presentare il suo nuovo libro Michel Ciment, direttore supremo di una delle più importanti riviste di cinema francese: Positif. Non sapevo chi fosse prima che H. me lo sussurrasse con la voce impastata dal vino durante l’intervista: “R. ha già trovato un lavoro con un’importante casa di produzione per quest’estate, e anche U… buttati Viola, vagli a parlare, magari ci scappa uno stage da Positif!”
Mi sentivo tradita. Tutti gli stagisti si erano ingegnati per trovare contatti di lavoro. Dove ero io in quei momenti? I pomeriggi passati sulla sedia girevole mi sembravano meno rosei alla luce di quella notizia. Alla fine dell’intervista, dopo gli autografi, ci chiesero di accompagnare Monsieur Ciment a Le Champo, dove era atteso per presentare 2001 Odissea nello Spazio, da lì a 10 minuti. H. mi guardò solenne. Era il mio momento. Ma cosa voleva dire esattamente “portarlo”? Era anziano, forse non camminava bene?
Mi avvicinai a Ciment e gli porsi il braccio. Lui mi guardò storto e uscì. Ci seguì un ragazzo canadese, altissimo, tutto sudato: capii subito che era come me, un infimo arrivista. Lui però era più combattivo quindi avrebbe vinto. Il sole era ancora alto.
Mi ricordai con orrore del mio appuntamento con E., che mi aspettava di fronte alla libreria. Quando mi vide con Ciment e quel tipo strambo e sudato provò a dire qualcosa. Poi ci ripensò e mi seguì in silenzio. Ci avviammo tutti insieme verso Le Champo, come una strana famiglia moderna.
“Senta signor Ciment, prima volevo farle una domanda ma non ho avuto il tempo..ero curiosa di sapere se…” balbettai.
Mi interruppe: “c’è una posta qui? Devo urgentemente spedire una lettera”
“Monsieur Ciment mi hanno detto che deve essere a Le Champo tra 5 minuti…”
“Ci vorrà un attimo le ho detto!”
Andammo alla posta. Lo guardammo spedire la lettera.
“Dicevo… mi piacerebbe scrivere di cinema, ma al giorno d’oggi, con i film che escono… ecco, ha ancora senso?” si girò verso di me e mi studiò un attimo per capire se avessi bevuto.
Non lo biasimai: avevo appena chiesto a uno dei più importanti giornalisti di cinema se aveva senso scrivere di cinema. Mi rispose gentilmente che non era d’accordo e mi suggerì di guardare Dumbo di Burton, che aveva amato.
Prima di sparire nella folla, Ciment ci invitò tutti alla redazione di Positif. Non andammo mai, nemmeno il canadese, ma è un’altra storia. Mi manca la libreria! Mi mancano le cose semplici. Presto torneremo a lasciarci scappare le occasioni unicamente per causa nostra. Non vedo l’ora.
Ė il piu bel cinemino secondo me.
Ha dato un senso, per adesso, alla mia giornata…ma sento che tale tendenza volge ad espandersi.
Felicità.