«Moss, perché ascolti sempre quelle stupide cassette?»
«Perché voglio provare a ricordare.»
«Ma conosci la storia a memoria, te la racconto continuamente.»
«Raccontamela di nuovo.»
Se Clean fosse un film, sarebbe Jess + Moss. Il primo lungometraggio di Clay Jeter, girato in 16mm con una Aaton XTR che segue i due protagonisti, cugini di 18 e 12 anni, in Kentucky tra campi di tabacco ed edifici abbandonati, potrebbe essere scomposto e utilizzato per realizzare un numero della rivista. Quasi ogni singolo fotogramma potrebbe essere isolato e diventare una fotografia, e la sceneggiatura rappresentare in modo perfetto quello che intendiamo quando parliamo di testi sospesi, non risolti e capaci di trasportare altrove chi guarda o legge, anche soltanto con poche linee di dialogo, apparentemente poco significative ma destinate a restare nella memoria e lì crescere d’intensità.
Jess + Moss è un film in cui si trovano echi di oltre dieci anni di cinema indipendente americano: la fine degli anni ’90 con Vincent Gallo e il suo Buffalo ’66, l’Harmony Korine di Gummo, e poi i primi 2000 con il movimento Mumblecore. Clay Jeter riesce però a realizzare qualcosa di ancora diverso e di esteticamente unico, soprattutto grazie al suo lavoro di ricerca che passa attraverso l’utilizzo di oltre trenta tipi di pellicola e che porta a un risultato finale al tempo stesso sporco, scintillante e sempre vivo. Ed è in fondo proprio in questa sintesi che Clean sta cercando di stare: tra lo sporco e lo scintillante, sempre sul punto di crollare, viva come una casa abbandonata in cui qualcuno entra e fa suonare un vecchio stereo.
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