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Era proprio lì, alla fine della scalinata, accanto al mezzobusto del marchese. La Manna ha corso a perdifiato per raggiungerlo, afferrargli il braccio, costringerlo a voltarsi e trovare il coraggio di urlare: «eccomi, dimmi tutto!
Ogni passo su quelle scale riduceva il suo campo visivo a un occhio di bue e tutto ciò che stava intorno sfumava in un pulviscolo lampeggiante, ma non importava. Ormai c’era, l’aveva preso.
«Che, sei impazzita?».
La mano della Manna si è ritratta come un paguro nel suo guscio.
Lo sguardo ha messo a fuoco Guido: cazzo, la maglietta era uguale!
Che fare, ora, correre giù per le scale a perdifiato, allontanarsi, fuggire, sparire, eclissarsi, estinguersi? Impossibile.
Fortuna Manna lo conosceva, Guido. Erano vicini di casa, le famiglie amiche… poteva provare a cercare una scusa, dare una spiegazione, salvarsi. Ma le parole erano pallottole di carta lanciate contro muri di gomma, rimbalzavano silenziose e non sortivano effetto.
Guido ha tirato via il braccio e ha rincarato la dose, accentuando una certa posa da capobranco che Luca e Paolo, in piedi dietro di lui, trovavano ironica: «e poi che ci fai qui, hai scordato il pranzo a casa?»
La Manna si è guardata intorno. Davanti a lei l’area dello spaccio panini concertava in una cacofonia di bocche che masticano, labbra che succhiano, lingue che parlano, nasi che colano, gole che ingurgitano, mani che toccano, corpi che sfregano, voci che sbraitano.
I suoi occhi saltavano da quel delirio a quelli del trio di nerd che ruminava una focaccia con patatine fritte e salsa rosa proprio lì, in piedi davanti a lei.
«Guardati, sembra ti stia inseguendo qualcuno!» ha detto Guido.
«Io? No, forse ti ho scambiato per un’altra persona, scusami, non volevo».
«Ah, e chi di preciso?».
«Un ragazzo della 5° C, un certo Manfredi, l’ho visto salire le scale».
«Manfredi?».
I tre si sono scambiati uno sguardo incuriosito.
«Sì, lo conoscete? L’avete visto? Sapete perché vuole parlarmi? È da stamattina che lo cerco, sto letteralmente impazzendo, io… io…» la Manna vedeva le parole scivolare di bocca e cercava di riprenderle, timorosa potessero essere fraintese.
«Stai delirando, torna in classe, Manfredi è stato sospeso» ha detto Luca.
«In che senso sospeso? Ma se l ‘ho incontrato stamattina, l’ho visto prima, lo conoscete?».
Il trio, dopo un attimo di esitazione, si è chiuso a riccio e ha iniziato a confabulare in gran segreto. Ogni tanto uno dei tre si voltava a osservare la Manna e lei non capiva se in quegli occhi c’era sospetto, giudizio o semplice presa per il culo.
Guido è stato il primo a riemergere dal concilio.
Il suo corpo si è gonfiato come un palloncino, riempendo il campo visivo della Manna. Il volto oblungo e deformato la sovrastava, facendola sentire piccola e indifesa.
«Possiamo aiutarti – ha detto – ma ad una condizione».
Il cuore della Manna ha accelerato il battito. La mente ha rievocato l’amica Giovanna, costretta a far vedere le tette a Piergiorgio per una scommessa persa.
Sentiva caldo, la Manna. Sudava freddo e i suoi sensi si acuivano, facendo emergere dettagli grotteschi, come la pezza scura sotto le ascelle di Luca, la forfora gialla sui ricci di Guido, l’acne rossastro sulle guance di Paolo.
Ha visto pezzi di pane e patate masticati volare fuori dalle bocche del trio parlante.
Ha sentito l’odore dello smegma essiccato nelle loro mutande.
«Le tette non ve le faccio vedere!»
«Sei matta!»
Guido, sgonfiandosi come un palloncino bersagliato dagli sguardi attirati dalle voci della Manna, ha spostato il gruppo verso un angolo sicuro e appartato, lontano dal via vai del bar.
«Che volete, allora?».
I tre si sono scambiati uno sguardo d’intesa, e hanno iniziato a parlare.
«Ci sono diverse ipotesi che possiamo considerare» ha detto Luca, facendo avanti e indietro con le mani dietro la schiena. «La più probabile è che Manfredi sia un viaggiatore temporale, qualcuno venuto dal futuro, o meglio: da un universo parallelo. Altrimenti non si spiega come possa esser stato visto a scuola pur se sospeso, no?».
«Oppure – è intervenuto Paolo, senza lasciare il tempo alla Manna di dir qualcosa – potrebbe essere un informatore segreto che cerca di infiltrarsi a scuola, facendosi passare per uno studente. Questo spiegherebbe la sua riservatezza ma soprattutto la scaltrezza nel prendere contatti con una studentessa poco popolare».
«O ancora» ha chiuso Guido, «Manfredi è il membro di una società segreta che cerca reclute dalle straordinarie capacità mentali per portare avanti un pericoloso traffico di informazioni tra i banchi di scuola. Anche se non mi spiego perché ti ha avvicinato. Forse non ha mai visto una tua pagella, o sa che nascondi qualcosa».
La Manna è confusa.
«Come funziona, devo scegliere una delle tre ipotesi?»
«I Pistoleri Solitari non lavorano gratis, era questa la condizione».
La Manna non credeva di aver capito. Si è guardata il petto ripensando all’opzione tette, prima di farsi ripetere quel nome più volte, e ogni volta sentiva il senso della realtà sguisciare via come un’anguilla.
In 10 minuti di ricreazione aveva accumulato una lunga lista di buoni motivi per non rimettere piede a scuola e farsi una vita altrove, eppure, più quella vicenda si infittiva, più prendeva una piega inaspettata, più cresceva dentro lei un senso di gratitudine e riscatto, come se prendesse atto del fatto che l’unica normale, in quella scuola, era lei, e i matti gli altri.
Così, con uno slancio ottimista, ha tirato fuori di tasca 20 mila lire e le ha sbattute sul palmo proteso di Guido.
«Voglio sapere tutto, e lo voglio sapere adesso».
«Per questa cifra possiamo saltare la parte del “trova gli indizi” e andare dritti al sodo: l’ipotesi giusta è la tre, ma per saperne di più devi parlare con il tecnico dell’aula pc».
La Manna non è mai stata nell’aula pc.
Nella sua testa si è materializzata l’immagine di una stanza in penombra, polverosa e asfissiante. Al suo interno, un uomo con la faccia di Manfredi, ma decisamente sovrappeso e dalla pelle unta e sudaticcia, mangiava alette di pollo fritte mentre passeggiava tra file di scrivanie dove decine, centinaia, forse migliaia di studenti, battevano rapidamente sulle tastiere, producendo un ticchettio plasticoso e continuo. I loro sguardi erano rapiti da monitor che emanavano un riverbero azzurrognolo.
Cosa scrivevano? La Manna, nella visione, non riusciva a decifrarlo. Intravedeva formule, località, date, nomi di poeti e imperatori, forse una parola, anzi no, due, forse tre: barbabietole da zucchero.
Cosa significava? Un fragoroso rutto emesso dal Manfredi sovrappeso ha mandato in frantumi la sua visione.
«Perché il tecnico del pc?».
«Simona» ha detto Guido mettendole una mano sulla spalla «in questa scuola si tessono oscure trame. Se Manfredi ti ha contattato, non ammetterà un tuo rifiuto, per questo dobbiamo parlare col tecnico del pc».
«Di cosa state parlando, non vi capisco, mi state facendo… ».
Spaventare? Arrabbiare? Confondere? Incuriosire? Manna non riusciva a decifrare le sue emozioni e non riusciva nemmeno a decifrare Guido, che le parlava di compiti in classe, di voti e registri e altre cose, e nel mentre le faceva sventolare un mazzo di chiavi davanti al viso.
Voleva prenderlo, ed era disposta a tutto.
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