di Rebecca Moore
Ha aperto gli occhi. Sguardi curiosi la fissavano dall’alto, facce scure contro un cielo che era già di nuovo limpido e azzurro.
Tutti gli altri erano ancora presi da quella lotta all’ultimo sangue, lanciandosi addosso gli ultimi pezzi di ghiaccio, a rischio di scivolare anche loro, per guardarsi intorno e notare cosa era appena successo. Qualcuno le ha passato gli occhiali. Allora la Manna si è tirata su, forse con uno scatto un po’ sgraziato, volendo evitare ogni altra attenzione, ché già si vergognava a sufficienza. Temeva che la mandassero in infermeria e che avrebbe perso del tempo prezioso. Le girava un po’ la testa, ma stava bene.
«Tutto ok, tutto ok» ha bofonchiato. «Sono solo scivolata».
Si è abbracciata da sola, non sapeva in effetti dove mettere le mani, e tentava di sorridere. Gli altri l’avevano guardata storto, ma alla fine si erano allontanati, riprendendo la loro corsa. Toccandosi i gomiti aveva poi sentito qualcosa di fresco e di appiccicoso, e portando le dita all’altezza del suo sguardo miope aveva notato che erano macchiate di sangue. “Ci mancava solo questa”, ha pensato.
Allora ha deciso che era meglio interrompere un attimo la ricerca e dirigersi verso il bagno, quello in fondo al corridoio, che le piaceva perché era piccolo ed intimo, e perché ci andavano meno persone. Ha aperto una delle porte dei cubicoli e si è chiusa dentro. Ha appoggiato giù la seduta del gabinetto, si è seduta e ha cominciato a srotolare molta più carta igienica di quanta ne avesse bisogno, per poi appiccicarsela sul gomito in malo modo. È crollata all’indietro, sul muro freddo, distendendo le gambe con fare rilassato. Si è guardata le sue All Star bordeaux un po’ slavate, una era slacciata: finalmente era sola.
“Di questo passo non lo troverò mai”. Il gomito le pulsava un poco, e avrebbe voluto chiudere gli occhi; non sapeva in effetti come proseguire. Quei corridoi e quelle aule, per quanto a tratti odiati e temuti, ma che ormai le erano diventati familiari, si erano trasformati in uno strano labirinto per cui ogni svolta era una siepe o una strada senza sfondo.
La Manna si è guardata attorno e, per prendere tempo, ha cominciato a leggere le scritte che ricoprivano, a tappeto e senza nessun tentativo di voler preservare quelle precedenti, la maggior parte dei muri. Davanti a lei è disegnata una porta sulla stessa porta, con sopra l’avvertimento: UNIVERSO PARALLELO. Sotto: Stefania, non ti perdonerò mai, eri la mia migliore amica ma ormai mi hai persa, Chiara. Chiara sei una stronza, Stefania. Sotto ancora: ragazze, il vostro parere appoggiatelo pure là, grazie, Carlo. Chi mi ha rubato gli occhiali è un rotto in culo. E sotto: scusate li ho trovati. In rosso, a caratteri cubitali: INTIFADA ‘88. E fra cancellature e frasi indecifrabili un imperioso HIC SUNT CILONES. E un timido: …vi piglia male, eh?
La Manna ha sentito aprire la porta del bagno.
«Quella fava di Marco mi ha beccata proprio in testa».
«Ma smettila, non ti fanno che piacere le sue attenzioni…»
Sono entrate due ragazze. Vanno verso i lavandini, una ha aperto la porta del cubicolo accanto, ma la Manna non le sente entrare, vi sostano solo davanti.
«Ce l’hai l’accendino?» ha chiesto una delle due.
«Sì, dovrei averlo.»
La Manna ha sentito un vago tramestio nel silenzio del bagno che un po’ rimbombava. Poi un soffice clic e il dolciastro, vischioso odore di sigaretta.
«Oh, ma l’hai sentito cosa è successo a Manfredi?»
«Manfredi chi?»
«Quello fico, di 5° C.»
«Ahh, ho capito. Perché, che è successo?»
«L’hanno sospeso, oggi era il suo ultimo giorno. È stata colpa di quel suo amico. Dai, lo conosci anche tu, come si chiama, quello che spaccia.»
«Chi, Mattia?»
«Lui.»
«E quindi?»
«Praticamente Manfredi ha coperto per Mattia. L’hanno beccato che spacciava a scuola, e qualcuno deve aver fatto la spia. Tanto, lui ha tutti voti alti.»
«Guarda che non è andata così.»
«Ma come, allora ne sai qualcosa anche tu.»
La Manna ha sentito un brivido correrle lungo la schiena, e i peli sul retro del suo collo si sono drizzati, in allerta, come piccoli soldati. Non intendeva perdersi nemmeno una parola.
«Buttala, che tra un po’ suona» ha detto una delle due.
«Sì, ma ora mi devi dire cosa sai».
La Manna ha sentito lo sciacquone, le due ragazze che uscivano.
«Mattia non c’entra. Spacciare spaccia, ma Manfredi è stato sospeso per un’altra ragione. Ho sentito che è colpa di una ragazza di 3°, non so chi sia, una certa Carnaroli…»
Le voci vengono interrotte dalla porta che si è chiusa. Il bagno è di nuovo immerso nel silenzio e la Manna non è ancora riuscita a muovere un muscolo, seduta su quel gabinetto. Poi ha preso coraggio, si è alzata, ha aperto la porta e si è diretta verso il lavandino. Ha buttato via la carta igienica insanguinata e si è sciacquata il gomito con un po’ d’acqua, perché alcuni pezzetti le erano rimasti incollati alla pelle. Il sangue si è fermato. Si è guardata allo specchio.
La metà delle cose che erano successe quella mattina non erano reali, e questo lo sapeva, anche se non le era sembrato così sul momento. Era quindi meglio lasciarle andare come una barchetta lungo un fiume, preda di piccole onde, insieme alle cose già dimenticate e oscure; ma l’altra metà, comunque, faceva anch’essa fatica ad entrare a far parte della cosiddetta realtà. A volte – così pareva alla Manna, se rifletteva un minuto in più sulla sua vita, sulle cose che sono come i giorni che passano, – ciò che non era reale, ciò che poteva essere una delle sue visioni, un pensiero, una fantasia – o un’emozione, perché no, – finiva per diventare più reale, molto più reale, della stessa realtà. Perché? Strano pensiero. Eppure, sembrava che fossero proprio quelle sue visioni, le sue fantasie, che influenzavano le decisioni, i malesseri, i momenti di gioia, e di quelli ce n’erano troppo pochi, le pareva; di più, certo, di certi momenti monotoni e quotidiani, sempre uguali, che si ripetevano senza splendore, senza alcuna immaginazione. Sentiva che se c’era una linea, quella era davvero sottile: che più sottile di così non si poteva.
Era davvero stanca, ora, la Manna. Non è riuscita ancora a staccare lo sguardo dallo specchio; anche se non è davvero la sua immagine riflessa che vede, la mente è troppo lontana, si è lasciata prendere da un flutto, da strane teorie. Allora si è levata un attimo gli occhiali, li ha puliti alla maglietta, se li è rimessi sul naso. Ha cercato di far stare dietro le orecchie i suoi capelli setosi, inutilmente. Ma non è riuscita ancora a far capo e coda di quella storia. “Chissà cosa c’entro io”, ha pensato.
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