Durante il dibattito il regista spiega che dal 2020 le cabine sulla spiaggia di Mondello verranno eliminate per sempre. I bagnanti che estate dopo estate le hanno dotate di televisori a schermo piatto, carta da parati, docce da campo e coperture isolanti, convertendole di fatto in residenze vista mare, dovranno trovarsi un altro modo per passare le ferie.
Quattro riflessioni sull’argomento:
1) Sarebbe bello se le cose non cambiassero mai. Se fossimo tutti immersi in un eterno presente, un presente statico, rassicurante, tiepido come l’acqua ferma. Se l’estate non finisse mai. Se l’estate a Mondello non finisse mai, e ogni notte si dormisse sulle sdraio con i piedi sollevati su sedie di plastica per aiutare la circolazione. Sarebbe bello pensare che a fine stagione daremo una svolta, ce ne andremo in paesi lontani dove il welfare è migliore, prenderemo posizioni, magari entreremo in politica. Poi non lo faremo, ma non per fatica, non per vigliaccheria. Non lo faremo perché il fine stagione non arriverà mai, e vivremo per sempre circonfusi dallo splendore delle buone intenzioni.
2) Che succede quando ci viene sottratto qualcosa di familiare, qualcosa di appartenente al dominio delle abitudini, e di colpo dobbiamo cambiare le nostre vite? Come ci poniamo di fronte a questo tipo di emergenza? In nessun modo. Ci dimeniamo un po’, ci adagiamo su nuovi conforti carichi di nostalgia. Ti è già successa, ti chiedo, una cosa così? Mi rispondi di sì, avrai avuto circa diciassette anni, c’era questo posto occupato in zona San Iacopino che dopo neanche tre mesi hanno sgomberato, sigillato e buttato giù. Mi ci ero praticamente trasferito, dici, ci dormivo anche la notte. Lo spazio me lo ricordo, ci andavo anch’io qualche volta, però non mi sembra di avertici visto mai. Forse quelle sere eri a casa? A fare una doccia magari, a riposarti un attimo? Forse non ho guardato bene. A me invece, è mai successa una cosa così? Ci penso tre giorni di fila, e alla fine mi rispondo di no. C’era il multisala di quartiere sostituito da un supermercato, il bocciodromo sul fiume non compatibile con le politiche di riqualifica degli argini, il bar dove si mangiavano le uova sode che ha cambiato gestione, lutti durati poco, quasi niente. In nessuno di questi posti ci sono stata a dormire, e appena si diffondeva la voce di una possibile chiusura iniziavo a modificare i miei itinerari.
Una cosa c’era, e all’improvviso era come se non ci fosse stata mai.
3) Le ferie in Sicilia, io le ricordo d’inverno. Due settimane di noia, la stanza in comune con mia sorella, il letto di legno che era stato del fratello del nonno. C’era anche morto dentro, pare, e adesso ci stavo io. Una nota: il fratello del nonno si chiamava come me. Due settimane di odori, in particolare: l’acqua del rubinetto che sa di sale, la ghiacciaia del frigorifero che sa di acqua salata congelata, il pane con i semi, le cose vecchie. Non si usciva mai, quasi mai, se non per salire in macchina o per andare in chiesa. A volte una passeggiata sul lungomare, dal portone di casa al portone di casa. C’era freddo ma non troppo, e sulle pozzanghere anch’esse salate si rifletteva un sole accecante che mi arrivava in faccia da ogni direzione. Tutta quella luce, e l’impressione di non riuscire a vedere bene niente di ciò che avevo intorno. La lentezza dei giorni. Camminare in queste vasche piene di riflessi, con un braccio alzato sugli occhi e l’altro aggrappato a mia madre. Se c’era un gradino sul percorso bisognava tastarlo col piede per non caderci sopra.
4) Siamo abituati, oggi, agli addii. I palermitani sopravviveranno alla rivoluzione della spiaggia cittadina, si sentiranno forse un po’ più soli. A Ferragosto sul litorale ci sarà comunque il talent di canto, e qualcuno a bassa voce dirà che alla fine è più bello così, senza le casette azzurre a riempire lo spazio. Poi le foto, i revival, non perdiamoci di vista.
Cose che c’erano, e all’improvviso sarà come se non ci fossero state mai.
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