di Marco Parracciani
La strada per la spiaggia è piena di buche e dossi; entrambi gli ostacoli sono dati dal lavoro delle radici dei pini che, sotto l’asfalto, cercano di trovare il loro posto. La sequenza che mi trovo davanti è buca-dosso-dosso-buca-dosso, e con la bici sfreccio facendo lo slalom fra le asperità del terreno.
Ammortizzo i colpi del sellino scaricando il peso su caviglie e piedi ben distesi e appoggiati ai pedali, accompagnando dolcemente il dislivello con il movimento delle ginocchia per proteggermi le palle. Non c’è nessun adulto che ti possa spiegare questo trucco: solo l’esperienza, e una bella dose di dolore le prime volte che non ci fai caso. È buio, e la pedalata è resa più difficile dalla dinamo del faro davanti, vecchia e arrugginita: ogni giro di ruota è uno gneeek che mi trapassa le orecchie.
I pini, oltre a lottare contro il catrame da – penso – centinaia di anni, danno le pigne. Se sono fortunato, e soprattutto se non le prendo in testa quando cadono dall’alto, le apro e raccolgo un sacco di pinoli: una parte va a mia madre, così ci fa il pesto con il basilico fresco; l’altra parte me la tengo in tasca, così me li mangio quando mi pare. Uso un sacchetto di plastica che ho rubato dal ripiano della credenza: c’era dentro un mazzetto di rosmarino, e ora ho il marsupio che profuma di rosmarino e pinoli.
Gabriele mi aspetta di traverso, come volesse chiudermi la strada. Quello con la bici sta sempre di traverso, vai a capire il perché.
Gabriele è più grande di me di tre anni, va alle medie e mi ha detto che una volta ha fumato una sigaretta. Me l’ha confessato qualche giorno fa, dopo il bagno del pomeriggio. Ha detto che fumare è facile. Io comunque ho dovuto aspettare le quattro e mezzo per fare il bagno: avevo mangiato una schiacciata tonda con le olive alle due, e mia nonna non ha voluto che entrassi in acqua sennò mi veniva una congestione.
Questa cosa della congestione, che se non aspetti almeno due ore dopo aver mangiato sennò muori, non la capirò mai. Io e Gabriele siamo vicini di ombrellone, ci divertiamo insieme anche se quando gioca a calcio con gli altri non mi vuole mai in squadra, perché sono troppo basso, però quando siamo soli è un’altra persona, più gentile. Essere soli insieme è meglio che essere soli da soli.
Anche Gabriele è ghiotto di pinoli, io glieli do volentieri. Lui è di Roma, e mi sa che dove abita lui di pinoli ce ne sono pochi perché me li chiede sempre. Se ne prende due o tre, ci gioca mettendoli fra indice e pollice, quasi li schiaccia, ma poi li mangia e quando mastica fa rumore per darmi noia, come se stesse divorando dieci Big Babol tutte insieme. Che schifo.
Percorriamo la strada, e rimane davanti. Cerca sempre di forzare sui pedali, per far vedere che è il più forte, il più veloce, il più mitico.
Appena arrivati alla passeggiata che dà sulla spiaggia, appoggiamo le biciclette al solito posto. Perdo un sacco di tempo a mettere il lucchetto alla ruota dietro, perché questa è la mia bicicletta e quindi devo rispettarla perché è sotto la mia responsabilità. Me l’avranno ripetuto un milione di volte. Finisco e mi incammino per il breve vialetto che supera la duna di sabbia gigante, che divide la passeggiata dalla spiaggia; Gabriele è già sdraiato a pancia all’aria, mani dietro la testa, e fissa il cielo pieno di stelle.
C’è già stata la notte delle stelle cadenti; tra l’altro qui fanno anche i fuochi d’artificio, però per me ha poco senso perché se uno guarda i fuochi, si distrae e perde tutte le stelle cadenti. Vabbè.
Gabriele pianta le dita nella sabbia fresca e si alza di scatto; inizia a girare come un vortice, lascia cadere la sabbia dalle mani e sembra una fontana bellissima che butta due scie marroni chiare.
Urla a squarciagola che quello che stiamo vivendo è il periodo più bello di sempre, e che tutto accade per una ragione, che il cielo è pieno di stelle perché deve illuminare il nostro cammino sul mondo, e niente cancellerà il nostro vivere. Alterna queste frasi a strofe di Io sono qui di Claudio Baglioni: la riconosco perché la canta spesso mia mamma quando fa il pesto con il basilico fresco e i pinoli che raccolgo.
A un certo punto Gabriele mi dice di ballare con lui, a piedi nudi, e inizia ad andare verso il mare. Si immerge fino alla pancia, continua a girare, e io mi preoccupo perché se non sono passate ancora due ore dalla cena nessuno può entrare in acqua, sennò si rischia di morire di congestione, e io non so come si fa a salvare uno dalla congestione. Solo che lui non si ferma, si stropiccia i capelli che sono sempre arruffati e quasi se li strappa, io cerco di calmarlo ma lui continua a urlare più forte, urla dei nomi a caso, e dice che quelli di ora saranno gli unici momenti eterni della nostra vita, e continua a cantare “Io sono vivo e sono qui, e vengo dentro a prenderti”.
Io non so cosa fare, sono disperato e lui continua ad allontanarsi dalla riva e a girare in acqua, con la sabbia in mano che piano piano sta finendo, “Da solo disarmato e innamorato, tu devi arrenderti”, e mentre sta per essere inghiottito dal mare scuro, dice che nessuno potrà intralciare la nostra felicità.
Alzando gli occhi al cielo, per l’ultima volta, urla un fortissimo Sì! e sparisce, lasciandomi solo, immerso nel silenzio.
L’unica cosa che riesco a fare, mentre sto scalando la duna immensa che separa la mia tranquillità da quella scena senza senso, è mettermi in bocca un paio di pinoli al sapore di rosmarino e scappare il più lontano possibile.
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