Scena 1: interno, box.
Diciamo la verità: tutti sanno guidare, in pochi sanno andare in pista. Lì, per sopravvivere, devi bilanciare calcolo e istinto. Tra sopravvivere o soccombere, è questione di centesimi di secondo.
Scena 2: esterno, casa.
Sono Divina Lombardi, allenatrice e mental coach in Formula 1. Da piccola ho sempre sognato di far parte del circus. È un ambiente maschile, vero, ma le donne non sono mancate e il mio nome è un omaggio a quelle che ne hanno fatto parte, poche.
Dicono sia per una questione fisica: guidare una monoposto richiede un’elevata resistenza e il corpo maschile è più idoneo, ma credo se la raccontino. Il fisico, senza la testa, conta poco, sennò piloti come Hamilton e Vettel sarebbero interscambiabili. Lo dico sempre ai miei ragazzi.
Ora andiamo da loro. Come? In macchina, che domande.
Scena 3: interno, auto.
Io adoro guidare. Sono un po’ conservatrice, poco avvezza alle stravaganze, come nelle auto francesi. Hai mai guidato un’auto francese? Fanno le cose al contrario loro. Glielo dico sempre a Cyril. Ha una faccia così francese lui, ma gli auguro il meglio, in fondo Daniel ed Esteban sono dove sono anche grazie a me.
È importante entrare in sintonia con l’auto, se si vuole essere veloci. Guarda, ora affrontiamo questo tornante stretto. Giù in seconda per stare in zona rossa e sentir le gomme fischiare. In uscita apriamo tutto e saliamo subito in terza e poi in quarta. Non c’è spazio per la quinta qui, siamo al curvone largo e veloce. Sfioriamo appena il freno prima di imboccarlo e restiamo in terza. L’asfalto si inclina come a Indianapolis. Appena scorgiamo il breve rettilineo… giù a fondo l’acceleratore per una fulminea ripresa: quarta e quinta prima della staccata per entrare nella chicane.
Sto andando forte? Hai ragione, siamo su strada, ma se volevo fare la Safety Car compravo una spider per farci i giri la domenica. Poco emozionante per un documentario che si chiama Drive to Survive, no? Tagliala pure questa.
Scena 4: esterno, passeggiata nel paddock.
Le emozioni? Solo sul podio, se ci arrivi. Questa è la Formula 1. Se hai pensieri, paure, dubbi, incertezze, non sei competitivo. Se guidi una monoposto vuol dire che al volante sei un missile terra terra, vero, ma non basta. Con la pista vuota son buoni tutti. È nella mischia che si vede la stoffa, o nel rapporto col tuo compagno di team. Se sei in squadra con Lewis o Max, e non reggi il confronto, bene che vada sarai un eterno secondo. Chiedi a Bottas. Ma se va male, e spesso va male, crolli. E se crolli, fai i bagagli e saluti la curva. Chiedete a Gasly o a Hülkenberg.
Devi essere freddo e calcolatore, senza perdere l’istinto e la fame di competitività.
Il pilota migliore? Di solito quello che vince.
Scena 4: interno auto, città
Qualche giorno fa ero qui, piantata al semaforo, quando mi si è affiancata una di quelle 500 Abarth con la raucedine. Il tipo alla guida continuava a sgasare, così per fargli passare la fantasia ho fatto cantare la mia bella ma quello ha frainteso, forse la sera prima aveva visto l’ultimo capitolo di Fast and Furious e voleva ingaggiare una sfida da quarto di miglio lungo il viale.
Come vedi, ci sono tre corsie: due per andare dritti, sempre intasate di auto, e una per svoltare a sinistra, quasi sempre libera, ma quel giorno, era mattina presto, noi avevamo la conferenza stampa per la presentazione dell’auto 2020 ed ero euforica, c’era poco traffico, così ho accettato.
Ho spento il podcast di Giorgio Terruzzi, chiuso i finestrini, ingranato la prima, stretto le mani sul volante e atteso col piede immobile sull’acceleratore. Una tensione che neanche a Montecarlo.
Al verde sono partita, pulita. Lui ha lasciato metà pneumatico sull’asfalto. Ho scartato subito sulla corsia di sinistra. Seconda terza e quarta in rapida successione: volavo verso l’altro semaforo. Una volta passato, avrei imboccato il cavalcavia, e ciao perdente!
Dallo specchietto ho visto però che si faceva sotto decisa. Ho scalato in terza e l’auto è andata su di giri, ma sono riuscita a staccarla e passare il semaforo prima che scattasse il rosso. Bandiera a scacchi? No.
Ero lanciata verso il cavalcavia quando, come un Grosjean qualsiasi – con tutto il rispetto per la HAAS, tagliate anche questa –, eccola ancora sotto. Era passata col rosso, approfittando poi della mia decelerazione per tallonarmi, ma te l’ho detto: a guidare sono buoni tutti, in pista sanno andare in pochi.
Il cavalcavia ha una sola corsia: o ci buttiamo dentro insieme e ci scontriamo o uno dei due rallenta e fa passare l’altro. Avrai già capito che non sono stata io a rallentare. Ti ho anche detto che è importante essere in sintonia con la propria auto: io so di quanto spazio ha bisogno per frenare. È a questo che serve essere freddi e calcolatori.
Ammetto che quella piccoletta stava spingendo come una dannata e sembrava non voler cedere, ma sapeva quando frenare? È qui che serve l’istinto, e il mio mi ha dato ragione.
Ho sentito le sue gomme lagnarsi sull’asfalto, poi una fumata bianca l’ha avvolta, liberando nell’aria un gran tanfo di bruciato.
Prima di imboccare il cavalcavia ho dato un rapido sguardo allo specchietto retrovisore, tanto è bastato per vederla di traverso, mentre le altre auto facevano slalom per scansarla.
Al che, perdona la volgarità, ho abbassato il finestrino e tirato fuori il dito medio.
Tutti sanno guidare, in pochi sopravvivono.
Taglia questa parte, ti prego.
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