Lasciando la festa, mi chiudo il portone alle spalle dopo un abbraccio col padrone di casa. Immerso nella semi-oscurità del pianerottolo, sento improvvisamente le orecchie fischiare, come un gorgo che risucchia i rumori. Con un gesto meccanico estraggo il telefono dalla tasca dei pantaloni e getto un’occhiata al display: le 2:05.
Scendo le scale ed esco in strada, l’aria tiepida della notte che mi avvolge.
Tornare in quell’appartamento, rivedersi in quelle stanze, risveglia ogni volta pensieri sopiti troppi anni fa, visioni di sé smarrite o rimosse con un certo accanimento. Durante il breve tragitto che mi separa da casa sento i pensieri frullare ossessivamente, senza darmi tregua, e le gambe leggere che galleggiano a qualche centimetro da terra.
Il passato non si può aggiustare, mi dico. E no, forse neppure il presente. Anni addietro la mia vita aveva preso una direzione imprevista, sbagliata, e il mio mondo ne era uscito a pezzi. Non sarei mai stato quello per il quale ero nato. Tutto era compromesso, il senso del mio universo era perduto.
Un germe silenzioso si era insinuato nella mia esistenza, rosicchiandone i contorni di purezza e scavando impietoso in profondità, verso quel vuoto pulsante, nero e sordo.
Anni e anni passati a ricostruire, a rimettere insieme brandelli di carne e sogni ogni giorno più modesti. Immaginare un futuro diverso, in cui gli assoluti e gli universali erano banditi. Illudersi che fare le cose nel modo giusto potesse mettere a tacere gli slanci del cuore. Accettare serenamente un lavoro nel quale si è bravi, pagare le tasse, essere un buon padre. Ci stavo riuscendo bene.
In serate come quella, però, quell’antica vertigine, il ricordo di quello che non era stato. E adesso mi era chiaro di nuovo: tutto era compromesso, tutto era perduto. E così quell’ansia di purezza, forse mai del tutto sopita, risaliva la gola, inondava la bocca, premeva sulle tempie. Come un furore ideale che pure faceva vibrare la carne.
Dopo il crollo, rimettendo insieme le macerie della mia vita avevo edificato un solido ponte verso il futuro. E ora il ponte era il mio presente. E ora il mio presente era solo questo ponte, e sul ponte sospiravo, come sospira il mondo. E improvvisamente il pensiero di far saltare il ponte. Ricominciare, ripartire, azzerare tutto. Un’altra vita, un’altra possibilità. La mia vita, finalmente. Salvare se stessi e il proprio universo. Scappare, scopare, scoppiare. Distruggere, distruggere tutto per poter rinascere puri.
Rispondi