di Alfredo Zucchi
A fine febbraio 2021, nel picco della curva paranoica (non ne usciremo mai, non usciremo più di casa, non riapriranno più le scuole, io e il mio doppio dovremo entrambi raggiungere, per sopravvivere, i limiti estremi delle nostre potenzialità: Super Dott. Jeckyll/Über Mr. Hyde), sfogliando la pessima, inquinante eppure talvolta utile bacheca del mio facebook ho visto qualcuno, un sedicente scrittore – insomma qualcuno aveva scritto di Fargo 4. Cazzo è uscita e io dormivo sul pero delle paranoie.
Così un fine settimana di marzo in cui il mio Mr. Hyde era prossimo al livello Über, cioè in uno stato di serenità e apertura assolutamente ingiustificati in relazione alle condizioni materiali, ho tratto il dado dalla saccoccia in pelle umana del caso e l’ho guardata per intero.
Dovete sapere che la differenza tra Fargo e Fantozzi sta nell’influenza che la filosofia trascendentale strutturalista gioca sulla composizione. Che lo vogliate o meno, che vi aderiate o meno la filosofia strutturalista scopre l’ordine simbolico quale ordine separato dal dominio del reale e da quello dell’immaginario: il suo più esimio rappresentante è la casella vuota. Nel beato mondo degli infanti esso è incarnato dalla seggiola vuota.
Non penso sia il caso di perdere tempo a elencare quali forme esso prenda nel magico mondo dei giochi delle carte, per quanto forse valga pena riferire il danno che tale casella vuota può arrecare nei giochi di carte delle prigioni siberiane: l’umiliazione eterna (cioè vita natural durante + memoria, la quale somma è spesso espressa, in modo forse imperfetto, da un tatuaggio sulla pelle del giocatore, vivo o morto) per il malcapitato che non riesce a prendere posto, a tenere il ritmo del movimento della casella vuota. Il dramma della casella vuota, infatti, è che essa si muove di continuo.
Vi è dunque un ingranaggio che si muove indipendentemente dai soggetti che vi sono gettati dentro: questo è il principio generale – oseremo dire che questo è il principio della Legge e potremmo chiamarlo, con un celebre motteggio melodico delle prigioni partenopee dell’età dell’oro, “’A caten’”.
L’altro principio, non meno importante, è che i soggetti, forzati a prendere posto nell’ingranaggio, fanno delle scelte: si sforzano di interpretare il rischio che corre sulle loro teste e fanno un gesto, spesso inconsulto ma comunque un gesto – come noi, come tutti. Accade però che il movimento incessante della casella vuota faccia slittare continuamente le conseguenze di lato. L’effetto segue la causa solo in apparenza – l’effetto si muove lungo traiettorie incalcolabili per i soggetti che compiono gesti. Si tratta, con buona approssimazione, di una trappola per topi.
Il fatto, però, è questo: è che i topi – come noi, come tutti – non ne vogliono sapere e continuano a ballare. Da qui l’ironia – meglio: da qui il livello Super Dr. Jeckyll dell’ironia. Da qui, dunque, lo strazio – che questo poi si sposi così bene con le suddette condizioni materiali credo sia solo una felice coincidenza.
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