di Teo Meriggi (essi vivono)
Era deciso, quella sera l’uomo avrebbe raccontato a Clelia delle visioni. L’avrebbe aspettata sul divano, sarebbe rientrata tardi come d’abitudine, stavolta però avrebbero parlato.
Perché le visioni erano diventate più insistenti da qualche tempo, non accadeva mai a un orario preciso.
La prima volta in cucina, la visione stava rimettendo a posto i bicchieri, il collo appena sudato e la tuta da ginnastica.
Restarono a guardarsi a lungo con l’uomo, la visione sorrise, occhi brillanti.
Successe poi una sera d’inizio estate, le parole spensierate riecheggiavano dalle strade piene. L’uomo scrutava le piante seccate in terrazza. Vide la visione camminare, portava dei bicchieri in mano e una bottiglia. Diceva qualcosa ridendo, dall’angolo arrivava caciara: “A che si brinda stavolta?”
L’uomo decise di seguirla, verso l’angolo della terrazza. Nulla, svanita. Solo un vaso, rami vecchi e la bici arrugginita.
Non ci pensò più, si mise a letto. Si svegliò il giorno dopo alle 15:00 come d’abitudine, nel corridoio raccolse un paio di pantaloni, due lattine, un cartone della pizza.
Vide le lenzuola sbiadite sullo stendino e pensò ancora alla visione. Uno spirito? In un palazzo dei primi del Novecento, forse qualche vecchio inquilino.
“E allora i cigolii di catene? Sciocchezze”.
E venne il giorno del brusìo. Lo fece alzare di colpo dal divano, era un picchiettio ovattato che si faceva intenso. Lo seguì lentamente attraversando il corridoio, il brusìo diventava rumore, diventava regolare. Seguirono i battiti, poi una melodia, un sassofono. La musica proveniva dal salone al primo piano.
Aprì la porta appena e sobbalzò: la visione era abbracciata e attorcigliata con Clelia, in un ballo lento. Fece per andare verso di loro, poi cambiò idea e si fermò a guardarli. Guancia a guancia, i passi minimi, poi gli occhi negli occhi. La visione le sfiorava i capelli, lei guardava e rideva. Sembrava una risata antica, di tanti anni fa. Fino a che non svanirono ancora.
Sente Clelia rientrare, camminare per il corridoio, il solito passo irregolare, verso il bollitore del tè. Pensa alle parole per iniziare, per non farsi dare del paranoico un’altra volta.
Nella cucina vuota, l’acqua non bolle, sul tavolo posate, piatti sporchi, buste di plastica. Tra le cartacce ancora quel foglio: “Vado via, non so più chi sei, non ridiamo più come una volta”.
Dalla finestra socchiusa sibila una leggera brezza. L’uomo sente un brivido freddo alla schiena, la pelle d’oca. E capisce di avere paura.
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