Probabilmente sono ancora uno dei pochi che quando sente la combinazione di suoni atta a produrre i fonemi davidlynch prova qualche emozione di stupore o ammirazione. È che non ne possiamo più degli ossessionati da David Lynch (anche se poi siamo tutti in febbrile attesa di Twin Peaks 3) e dunque anche il solo pronunciare il suo nome David Lynch suscita un po’ di stanchezza. È un po’ l’effetto che si ottiene se si vuole parlare di Wallace, Bolaño, Deleuze, etc… Pur rispettando (con dovuto distacco) queste posizioni, sono andato a vedere il documentario su Davidone – The art life, sedendomi comodo su una poltroncina ocra.
Una delle cose più miracolose di David, o almeno del David qui rappresentato, è che ha le mani sempre sporche. Lui le dita le usa come fossero pennelli e i palmi come spatole. Sotto le unghie ha incrostazioni di pigmento e le sue impronte digitali sono sparpagliate ovunque. Sembra un bambino testardo che ha appena scoperto i pennarelli e passa il suo tempo ad imbrattare tutto quello che gli capita a tiro. Probabilmente David dipinge senza un progetto preciso. Lo deduci da come le sue mani modellano e rimodellano il colore. Sembrerebbe che non sappia proprio dove andare e che trovi la strada piano piano, tentativo dopo tentativo, senza fretta, senza preoccupazioni, tanto, come pittore, David sa di aver fallito e questo lo rende assolutamente libero di fregarsene. Ci sono alcuni detrattori che sostengono sia pazzo, ma come ogni detrattore sa la pazzia di David è nei loro occhi, nella loro incapacità di capire. È che David gli pone dei problemi che non sanno risolvere o che non accettano. Si sentono messi in discussione e risolvono tutto con una parola: pazzo.
Ogni tanto le mani vengono usate anche come pinzette per trattenere le sigarette, che David fuma fino in fondo al filtro. Quando la sigaretta è ormai solo un mozzicone, lui aspira violentemente come per fare un ultimo tiro. Allontana la mano con un gesto repentino. Penseresti che la stia buttando via e invece in modo altrettanto repentino riporta la sigaretta in bocca e fa un altro tiro, come se non volesse perdersi neppure un truciolo di tabacco, come se stesse calcolando tutti i soldi che ha speso per quella sigaretta. Sembra che lui non abbia paura del tumore ai polmoni o alla trachea, perché pur avendo 71 anni inala con la stessa intensità del James Dean dei tempi migliori. Poi getta con noncuranza quel che rimane della sigaretta a terra e non si preoccupa neppure di schiacciarla col piede. La dimentica sul suolo mentre una lieve striscia di fumo continua a salire verso l’alto. Quando parla, invece, o quando ricorda le cose, o quando sta immobile e tu proietti su di lui strani processi psichici (è altamente probabile che in realtà non stia succedendo proprio nulla dentro di lui), David tiene le mani incrociate tra loro e ferme come uno stagno d’inverno. Se fossi accanto a lui mi sentirei in soggezione. Avrei paura del silenzio delle sue mani. Le sue mani sono grosse. Le sue mani non consumano energie in drammatiche gestualità mediterranee. Le sue mani probabilmente sono sempre sporche e calde. Io amo le mani di David Lynch. Sono abbastanza sicuro che senza quelle mani non avremmo parlato così tanto di lui da annoiarcene.

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