di M.R.
«Just because you’re paranoid, doesn’t mean they’re not after you»
Joseph Heller, Catch 22
Stamattina ho esitato prima di accendere il microonde per riscaldare la colazione. E se fosse vero, come si diceva un tempo, che emette radiazioni nocive? Magari l’hanno proprio costruito così, intrinsecamente dannoso, e sono riusciti a venderlo solo per via dell’ignoranza della gente, perché nessuno si è mai messo a indagare.
Nel dubbio, ho pensato di cambiare e farmi una frittata. Avevo rotto le uova, sbattuto albume e tuorlo, in padella un filo d’olio, quando all’improvviso mi sono bloccato.
Qualche giorno prima a cena con amici era venuta fuori la storia del PFOA, il composto chimico cancerogeno usato nel teflon, ma ormai diffuso in tutto il mondo, anche al Polo Nord. C’era anche nella mia padella? E se con quella colazione stessi contribuendo ad aumentare la mia probabilità di incidenza del cancro del 10-20-30-chissàquanto%?
Niente, dovevo abbandonare anche l’idea della frittata, in attesa di approfondire. Ho provato a pensare a un’alternativa ma, accostandomi alle cose con consapevolezza, tutto mi sembrava pericolosissimo.
La frutta? Piena di pesticidi.
La carne? Animali gonfiati di antibiotici.
Le merendine? Tenute su a forza di conservanti.
Alla fine ho deciso di bere solo un po’ d’acqua, di quella certo non potevo fare a meno. Ma anche lì il sospetto: potevo fidarmi di quella del rubinetto? I rapporti sulla contaminazione degli acquedotti non lasciano molti dubbi. Certo, potevo aprire una bottiglia di plastica dalla scorta in cantina, ma proprio ieri avevo letto un articolo sulle microplastiche e non è che la situazione fosse delle più rosee.
Alla fine ho deciso di saltare direttamente la colazione, avrei semmai recuperato dopo, una volta scoperto il modo per mangiare senza rischiare.
Il resto della mattinata l’ho passato su Internet, a leggere di composti del carbonio, radiazioni, tumori, malformazioni alla nascita e disfunzioni di ogni genere.
Dopo qualche ora, con la schiena dolorante per il tempo passato chino sullo schermo, sono andato sul divano, ho disteso i piedi sul tavolino di fronte e ho appoggiato il computer su cosce e inguine. Per riscuotermi un attimo dopo.
Non avevo sentito dire di tenere gli apparecchi elettronici lontano dai genitali perché c’era il rischio concreto di infertilità? Come avevo fatto a dimenticarlo!?
Ho allontanato il PC e sono rimasto immobile. Mi sono guardato intorno, esaminando con gli occhi e con la mente tutti gli oggetti che mi circondavano, come se li vedessi solo allora per la prima volta.
Quasi tutto quello che avevo di fronte era in qualche modo dannoso. E non parlo solo degli incidenti che potevano capitare per sfortuna, come un cortocircuito, seppure anche di questo la possibilità aumentasse all’aumentare dei dispositivi elettronici che, mese dopo mese, stagione dopo stagione, si accumulavano in casa.
Il pericolo di cui mi ero accorto era nascosto dietro una patina di funzionalità e ottimizzazione, ma non per questo risultava meno incombente: era la comodità del teflon cancerogeno che ricopriva le padelle; era l’innaturale rigoglio delle verdure fuori stagione, la loro forma sempre perfetta e intrisa di sostanze artificiali; era l’elevata produttività degli allevamenti intensivi, che riforniscono i supermercati mentre distruggono l’atmosfera.
Era, di fronte a me, il patto della modernità, che come tutti avevo firmato senza leggere le avvertenze scritte in piccolo.
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