Mia moglie non mi fa tagliare la barba. Dice che senza la barba sembro un manichino dell’Oviesse. Non un manichino generico, proprio uno dell’Oviesse. «C’è qualcosa di inquietante nel modo in cui fissano il niente» dice, «è come se ti osservassero, anche se in realtà non lo stanno facendo» dice, «ti svuotano senza nemmeno guardarti». Poi sbatte le palpebre più volte e guarda qualcuno o qualcosa che non esiste.
A pensarci bene mia moglie non mi ha mai esplicitamente vietato di tagliare la barba, non mi ha mai minacciato, non mi ha mai fatto intendere chissà quale ripercussione, a pensarci bene non ha nemmeno mai detto «no, non tagliartela». È che io non voglio svuotare nessuno. Ogni tanto l’accorcio, certo, la spunto un po’, ma da quando mi ha detto questa cosa non mi sono più rasato.
Qualche volta mi viene voglia di farlo, così all’improvviso, senza pensarci troppo, una pazzia, come quando si fantastica su una fuga in una lontana e soleggiata terra straniera. Mi guardo allo specchio, ruoto la testa, mi liscio il collo con la mano, distendo la mascella. «Forse adesso potrei tagliarla» dico, «tanto in due o tre giorni ricrescerà» dico, «chissà com’è bianca la pelle sotto la barba». Lei si materializza davanti alla porta del bagno (colpa mia che l’ho lasciata aperta), mi guarda mentre mi sporgo sopra al lavandino, non dice niente, poi pianta i piedi e china leggermente la schiena, piega la braccia e si immobilizza in una posa statica da manichino, resta così per qualche secondo, poi con un movimento plastico di tutto il corpo si paralizza in un’altra posa e avanti così finché non le chiudo la porta in faccia. In effetti è proprio vero, non dice mai «no, non tagliartela».
Con i capelli non è la stessa cosa. Quando qualcuno si taglia i capelli puoi dirgli «stai bene», «stai male», «hai qualcosa di diverso?», «questo taglio non ti valorizza» (giuro che l’ho sentito dire ma io non l’ho mai detto); però quando ti tagli i capelli sei sempre la stessa persona. Con la barba no. Con o senza diventi un altro. Forse è questo il punto. Voglio diventare un altro? Voglio essere diverso?
La mia faccia senza barba non me la ricordo. Sì, certo, come tutti ho svariate fotografie, mi guardo e lo so che sono io, ma è come se quella vita non mi appartenesse. Come se quella vita fosse di un tizio molto vicino a me, molto somigliante a me anche nell’aspetto, un tizio che ha fatto le mie stesse scelte, ha provato le emozioni che ho provato io, chissà, forse una volta ne abbiamo parlato davanti a una birra e perciò so tutte queste cose, so cosa ha pensato, cosa ha detto, cosa ha fatto. Ne ho una anche in salotto di foto, è in bianco e nero, in una cornice di vetro. Quando qualcuno si ferma a guardarla dico «questo sono io senza barba». Potrei dire «questo sono io da ragazzo» oppure «qui avevo diciassette anni» o ancora «questo sono io al mare un’estate di tanti anni fa con i miei amici è stata un’estate bellissima questa foto l’ha scattata una mia cara amica ecc. ecc.» e invece dico «questo sono io senza barba». Che poi si vede che non ho la barba ma devo prendere le distanze da quell’individuo e riappropriarmi della mia identità.
La mia identità ha la barba e non svuota nessuno.
Alle cene con gli amici è un aneddoto divertente: «Lei dice che senza barba sembro un manichino dell’Oviesse», seguono risate, facciamo la pantomima del manichino in posa, ci sono argomenti peggiori, con questo ce la caviamo sempre.
Ci penso a questa storia della barba. Ci penso quando sento freddo, quando fa caldo un po’ di più. Ci penso quando sono al mare e mi spalmo la crema solare sul viso e la barba resta unta e a chiazze bianche. Ci penso quando prima di uscire di casa mi sistemo la mascherina che non aderisce completamente al viso. Ci penso e mi chiedo se voglio una vita diversa, se ho bisogno di un cambiamento. Ci penso quando guardo mia moglie che dorme e cerco di ricordarmi com’era sentire le sue labbra sulla guancia. Ci penso e vorrei chiederle cosa significa «ti svuotano senza nemmeno guardarti». Allora glielo chiedo, mentre dorme, mi avvicino all’orecchio e sussurro «cosa vuol dire ti svuotano senza nemmeno guardarti?». Mia sorella lo faceva con me, quando eravamo piccoli, mentre dormivo, mi faceva delle domande e io nel sonno rispondevo, più che risposte erano mugugni, dei suoni da interpretare. A quanto ne so dicevo sempre la verità. Quindi mi avvicino all’orecchio e sussurro di nuovo «cosa vuol dire ti svuotano senza nemmeno guardarti?». Lei non dice niente, il volto imperturbabile, i bulbi oculari continuano imperterriti a muoversi sotto le palpebre, poi struscia il piede alla mia gamba. Il suo piede è ghiacciato. Il freddo mi svuota. Chiudo gli occhi, mi addormento.

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