di Riccardo Meozzi
Ho degli occhiali rotondi e con la montatura sottile.
Li ho comprati a settembre, e li ho pure pagati molto. Rebecca mi ha accompagnato a prenderli, mi ha fissato mentre li indossavo e, quando ho digitato il pin del bancomat, ha esclamato: «Ah, sembri Joyce!»
L’ottico, piacente dei trecento euro intascati, ha sorriso e ha rincarato: «Joyce, ma sì, quello che ha scritto l’Iliade!»
Io e Rebecca ce ne siamo andati in fretta. Fuori, mentre finiva di piovere e l’afa riempiva di nuovo l’aria, ho guardato il mio riflesso nella vetrina dell’ottico e ho pensato: “sembro davvero quel piccolo coglione annusascoregge”.
Rebecca deve aver notato la mia faccia abbattuta e ha detto: «È un ottico, non puoi pretendere che conosca Finnegans Wake o la struttura dell’Ulisse».
Le ho dato ragione, tacendo sul resto, e sono rimasto sorpreso quando mi si è stretta contro e ha detto che quella sera le sarebbe piaciuto uscire a bere, io lei e un paio di amici; che lo chiedesse proprio a me, che indossavo quegli occhiali da Joyce, mi è parso incredibile.
A bere con noi, quella sera, si sono presentati anche due sconosciuti, amici di amici. Li ho visti e mi è subito venuta voglia di vedere il film: lei una mora con un vestito nero e dei sandali da spartano; lui un aspirante carabiniere in polo troppo stretta. A una certa, a dimostrazione che è meglio non bere se l’afa ti stringe le tempie, siamo finiti a parlare di tatuaggi. Io non ne avevo ancora, e Rebecca nemmeno, ma la mora e il carabiniere sì. Lei ci ha mostrato la sua frase di Ligabue e l’immancabile “Omnia vincit amor”, lui ha arrotolato la manica fino al bicipite e, cercando il mio sguardo, ha detto: «Questa è la fiamma a tredici punte dei Carabinieri».
Lo sembrava, ma non troppo, e forse il mio sguardo era perplesso, così ha aggiunto: «Sai, mi sono allenato troppo e ora il disegno è tutto sbilenco.
Lei, la fidanzata, lo ha guardato e gli ha accarezzato il braccio, poi la guancia; ha fatto un risolino.
Mi sono voltato verso Rebecca, ma nel farlo gli occhiali da Joyce mi hanno riflesso la luce di un lampione sul fondo dell’occhio e non ci ho più visto nulla. Mi sono chiesto: “chissà cos’ha visto Rebecca, che brutta faccia, che palpebre contratte e che espressione strizzata le si sono parate davanti”. Poi ho smesso di pensarci conscio che di lì a poco avrei detto di essere stanco e di volermene andare a letto.
Quando l’ho detto, quando ho fiatato la mia resa, nessuno ha avuto nulla da obiettare, neanche Rebecca. L’ho trovato deprimente perché ineluttabile: che altro pensi possa proporre uno con gli occhiali da Joyce?
Più tardi, a letto, immerso nel buio della stanza e col pc in grembo, ho digitato il titolo del film con automatismo compiaciuto – Google ha subito suggerito il risultato –, e con un brivido ancora più soddisfatto mi sono bevuto la prima mezz’ora del film.
Steve Rogers, ragazzo con un corpo da campo di concentramento ma dotato di grande lealtà e patriottismo, si trasforma in una bestia con lo zero virgola qualcosa di grasso che, per tutto il resto del film, non fa altro che picchiare nazisti e filosofeggiare di buoni sentimenti e rosei futuri.
Tommy Lee Jones lo chiama bonariamente “Quel figlio di puttana”, e lo stesso Rogers dice cose come “Ci sono uomini che sacrificano le loro vite. Io non ho il diritto di fare meno di loro”, che però non è nulla in confronto a ciò che dice nei panni di Captain America.
A film finito, con l’Hydra sconfitta e l’amore per Peggy fatalmente stroncato, mi sono tolto gli occhiali e li ho posati sul comodino. Ho mandato indietro lo streaming alla prima mezz’ora e, complice la miopia, ho riguardato la rachitica macchia umana Steve Rogers subire la trasformazione in Captain America.
Ecco, vista attraverso la mia retina debole, quella macchia mi somigliava; quel corpo nuovo, eroico e patriottico che picchia i nazisti e fa innamorare la bella soldatessa, era il mio.
L’indomani, indossando i miei nuovi occhiali, ho pensato: “ho degli occhiali rotondi e con la montatura sottile; se non li avessi, volente o no, non potrei essere altri che me”.
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