Com’è andato Cannes 2019? Secondo la maggior parte di critici e giornalisti molto bene: nel concorso principale si sono viste ottime pellicole, alcune punte di diamante e vari film che potrebbero avere un buon riscontro di pubblico.
I film che hanno raccolto i maggiori consensi sono 4: due di autori celebrati e due sorprese.
Innanzitutto Dolor y gloria, film parzialmente autobiografico di Almodovar che è già uscito nelle sale italiane. Se ne parla come di un ritorno del regista spagnolo ai temi più cari (madri, passioni, dolori) e forse ai livelli più alti del suo cinema.
Poi c’è Tarantino, che ha presentato C’era una volta a… Hollywood con protagonisti Leonardo di Caprio e Brad Pitt. È una produzione gigantesca, ambientata nel mondo di Hollywood alla fine degli anni ’60, con sullo sfondo le vicende della setta di Charles Manson. Il film ha avuto un’accoglienza critica molto buona ed è destinato a fare incetta di Oscar.
Un altro film che ha riscosso larghissimi consensi è Parasite, del coreano Bong (Memories of Murder). Apparentemente si tratta di un thriller con una forte vena di critica/satira sociale. Il trailer e le immagini promozionali sono piuttosto indecifrabili e il regista ha chiesto esplicitamente di non spoilerare, per cui ci fermiamo qui.
Ultimo tra i principali favoriti alla palma è Portrait de la jeune fille en feu, della francese Celine Sciamma (Tomboy, Diamante nero). È un film in costume interamente al femminile, lodato per l’intensità emotiva e la capacità di offrire uno sguardo «altro», il famigerato female gaze.
Dietro a questi 4 favoriti c’è un nutrito gruppo di film che, pur non essendo celebratissimi, hanno ognuno i propri campioni: Bacurau, un western magico/delirante del brasiliano Mendonça Filho (Aquarius); Atlantique, dell’esordiente Mati Diop, che mescola realismo, giallo e magia per raccontare una storia di amori e migranti nel cuore dell’Africa; La Gomera, del rumeno Porumboiu, che destruttura in chiave ironica tutti i topoi del noir (la femme fatale, la trama ingarbugliata ecc.); Il traditore di Bellocchio, anch’esso già in sala, che racconta la storia del pentito Buscetta; It Must Be Heaven del palestinese Elia Suleiman, con la sua consueta ironia impassibile e strampalata.
Tra chi ha raccolto meno consensi ci sono invece: I morti non muoiono di Jarmusch, un film di zombi con un cast stellare (Bill Murray, Adam Driver, Tilda Swinton, Steve Buscemi, Iggy Pop, Tom Waits) ma in cui, a quanto pare, si ride poco e ci si annoia un po’; A Hidden Life di Terrence Malick, ambientato durante la Seconda Guerra Mondiale, per il quale il regista di The Tree of Life è stato accusato di delirio religioso ed estetizzante (vedremo…); Le jeune Ahmed dei fratelli Dardenne, storia di un giovane musulmano che si radicalizza; Mattias e Maxime di Xavier Dolan, che dopo il successo con Mommy non sembra più azzeccare un film; infine Mektoub My Love: Intermezzo di Kechiche, secondo film di una trilogia iniziata due anni fa. Sfidando la critica, i censori, il buon gusto, l’intero movimento Me Too e ovviamente chi già lo accusava per La vita di Adele di oggettificazione della donna e sguardo da vecchio porco eterosessuale, il regista franco-tunisino rilancia: 3 ore e mezzo di corpi che ballano, culi che twerkano, lingue che perlustrano accuratamente tutto il perlustrabile.
Insomma, chi la vince la palma? La giuria, presieduta da Iñarritu, è piena di registi dalle sensibilità molto diverse (Lanthimos, la Rohrwacher, Kelly Reichardt, Campillo…), per cui è difficile capire su cosa potranno trovarsi d’accordo. Personalmente scommetterei su Dolor y gloria o Portrait de la jeune fille en feu. Stasera lo scopriremo.
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