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In fuga dalla bocciofila

Blog dal titolo fuorviante in cui si parla di cinema tra una divagazione e l'altra

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Canadian Bacon | Quello grasso

16 Gennaio 2020 di Redazione

di Marco Renzi

 

Sono morto in Messico, lontano da casa. Dormivo, e mi hanno trovato il mattino dopo: arresto cardiaco, hanno detto. Ero grasso, anzi grassissimo, ma avevo smesso di fumare e stavo perdendo peso, anche se non si notava molto.

Ero lì per girare un film, un brutto film, un testamento artistico del cazzo, mi vien da dire. Per fortuna non è stata la mia ultima apparizione, perché l’anno prima avevo fatto Canadian Bacon.

Qui le notizie arrivano in ritardo, ma ho saputo che Michael Moore ci ha dato un taglio, coi film così, ha ripreso coi documentari e tutta quella roba seria. E se fosse stata colpa mia?

Il film doveva uscire nel ‘94, proprio nel periodo in cui ho tirato le cuoia, quindi lo rimandarono all’anno successivo, e quello, grazie a Dio, è diventato ufficialmente il mio ultimo film. Postumo, si dice così.

Ma ecco, non vorrei che Michael l’avesse piantata con la fiction per via della mia morte: mi sentirei in colpa. Tra l’altro, c’è da dire che Canadian Bancon non suscitò tutto questo clamore: Michael volle fare un film satirico coi controcazzi, e secondo me ci riuscì, solo che né i critici né il pubblico lo capirono, e alla fine scontentò sia l’americano medio sia il pubblico più raffinato.

Non so se questa reazione sia stata dovuta alla mia presenza: i miei film, compresi i migliori, erano fatti per spegnere un po’ il cervello, per farsi un paio di sane risate, a volte demenziali, e io, in fondo, ero sempre il panzone bontempone, il tipo maldestro che ne fa una giusta e ne sbaglia tre.

Prima di essere John Candy ero «quello grasso», un’etichetta che difficilmente ti scrolli di dosso: chiedetelo a John Goodman, che ha recitato in innumerevoli film seri e con un sacco di autori importanti. Oppure domandatelo al giovane Jonah Hill, che seguo con interesse perché per un po’ l’ho visto come una specie di mio erede: lui, per dire, sgonfia e rigonfia in continuazione. Forse è ancora in tempo per diventare soltanto Johan Hill e non «Jonah Hill il ciccione», perché si sta smarcando dai ruoli comici e sta provando a buttarsi su altro. Ha fatto pure un film da regista che devo ancora vedere, ma vorrei che mantenesse intatte le sue due anime.

Lo ripeto, sono crepato nel periodo in cui stavo dandomi una regolata col cibo e tutto il resto. In passato avevo tirato di coca e bevuto quantità industriali di birra e whisky, ma chi non l’ha fatto nel nostro ambiente?

Avevo pure una storia di malattie cardiovascolari in famiglia: mio padre se ne andò più o meno alla mia stessa età e per il solito male. Io avevo cinque anni e da quel momento in avanti la morigeratezza non ho mai saputo che roba fosse; del resto a cinque anni cosa diavolo vuoi capire.

E da adulto, già dentro lo spettacolo, venivo scelto proprio per il mio fisico. La mia sola entrata in scena faceva sganasciare dalle risate la gente, e c’è poco da girarci intorno: essere un ciccione mi ha portato fortuna.

Non sarei mai stato accanto a Tom Hanks e Daryl Hannah in Splash di Ron Howard, e nemmeno avrei mai fatto il buffo suonatore di polka in Mamma ho perso l’aereo – per intendersi, quello che riporta a casa la mamma del protagonista col camion.

E John Hughes mi avrebbe mai scelto per ben due film se fossi stato più magro? Non lo so, magari sì, ormai ero lanciato, ma in coppia con Steve Martin in Un biglietto per due, a riguardarmi, il mio essere grande e grosso funzionava quanto la mia natura burlona, irritante, casinista, inopportuna e al tempo stesso colma di bontà d’animo. Stesso discorso per Io e zio Buck, dove facevo lo zio disordinato e inaffidabile con la macchina scassata, con una vita da ricostruire da capo a piedi e anche lì con un cuore grande così. Ero il mattatore assoluto, e senza di me non ci sarebbe stato nessuno zio Buck: nessun altro obeso lo avrebbe fatto altrettanto bene, lo ammetto senza false modestie.

Non parliamo poi di Balle spaziali: il mio Ruttolomeo se lo ricorderanno tutti, mentre in molti non ricorderanno Chi è Harry Crumb?, in cui gigioneggiavo al massimo interpretando un investigatore, diciamo così, abbastanza sui generis.

Ah, avrei preso parte anche a JFK, per la regia di un certo Oliver Stone: almeno sono apparso in un capolavoro. Perché è un capolavoro, giusto? Immagino che in mezzo a tutti quei giganti, persone come Gary Oldman, Sissy Spacek, Joe Pesci, Jack Lemmon, Walter Matthau, Tommy Lee Jones, Vincent D’Onofrio, Donald Sutherland e tanti altri, gli spettatori facciano fatica, malgrado la stazza, a ricordarsi di me. Eppure lì in mezzo c’ero, tra l’altro insieme a Wayne Knight, un altro ciccione ricordato, credo, soprattutto per Jurassic Park e per esser rimasto a bocca aperta davanti alle gambe spalancate di Sharon Stone in Basic Instinct. In seguito è finito nel cast di quel film sul basket con Michael Jordan, Bill Murray e i Looney Toones del quale ora mi sfugge il titolo, credo sia uscito quand’ero già morto.

Sono morto piuttosto giovane e non ho lasciato un bel cadavere. Da queste parti non sono riuscito a rinsecchire di mezza libbra, perché c’è questo fatto strano per cui devi rimanere per l’eternità con la faccia e col corpo col quale sei arrivato. Io pensavo di poter assumere l’aspetto che desideravo, e se avessi potuto mi sarei scelto Robert Redford ai tempi di Com’eravamo o giù di lì, o Paul Newman in Nick mano fredda. Lo so, ero ambizioso, ma mettetevi nei miei larghi panni, di fronte all’Altissimo in persona: non l’avreste alzata l’asticella?

Tra tutti i privilegi che abbiamo quassù, non è contemplata la trasformazione in un uomo bello e magro. Pazienza: in fondo posso mangiare, bere e fumare quanto mi pare e nessun dottore mi dice nulla. Cammino e sono leggero come una piuma, gioco a tennis con Richard Pryor, mi faccio lunghi giri in bicicletta con Robin Williams e ogni tanto ritrovo persino John Belushi, al quale la vita ha riservato un destino non troppo diverso dal mio, ma qui non facciamo che scoppiare in sonore risate. Grasse, naturalmente.

Di recente mi son rivisto con John Hughes. Mi ha fatto leggere due o tre copioni in cui, a suo dire, potrei tornare davanti alla macchina da presa. Eri uno dei miei attori-feticcio, ha detto, a momenti mi scende una lacrimuccia sulle mie gote paffute.

Ora stiamo girando un film-bomba: c’è pure Steve McQueen, pensate a volte che sorprese riserva la vita, o meglio la morte. Una volta finite le riprese, purtroppo voi non lo potrete mai vedere: un po’ mi dispiace, ma a ben pensarci ci sarà tempo. Vi aspetto qui, si spera il più tardi possibile.

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Postato in: La sindrome del personaggio secondario, Lo sfogone Tag: Alan Alda, assurde morti a hollywood, Canadian Bacon, ciccione, John Candy, Michael Moore, Rhea Perlman Fai un commento

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