Ho sempre amato quel pazzo teutonico di un Werner Herzog, soprattutto perché si è ripetutamente infilato in ambigui discorsi politici, in strane considerazioni storiche, in messaggi all’umanità che sono echi da un regno oscuro. Speriamo che Herzog non muoia mai, anche quando se ne esce con pellicole discutibili, inguardabili, noiose.
Nel 1990 però il teutonico va a curiosare in un angolo sperduto di mondo come d’altro canto è tutta l’Africa per noi occidentali. Un suo amico giornalista, il francese Michael Goldsmith, si trova nella Republica Centroafricana, situata tra il Chad, il Sudan, il Congo e il Camerun. E’ una ex colonia francese, quindi tengono la guida a destra, ma questo fatto non è sufficiente per far sì che il transalpino non venga messo agli arresti con la scusa di appartenere allo spionaggio. Herzog fa un appello pubblico nella speranza che Michael non sia già stato ucciso.

Per fortuna Goldsmith verrà rilasciato e qualche anno dopo comincerà ad indagare sulle vicende politiche che hanno caratterizzato in quegli anni la Republica Centroaficana. Se devo essere sincero, io non sapevo chi fosse Jean-Bédel Bokassa. Non avevo idea che un personaggio quasi medievale che ricorda molto da vicino Gilles de Rais potesse splendere su carrozze ottocentesche in una restaurazione quasi burlesca del potere. Herzog ci mostra immagini ridicole dello sfarzo dispendioso a cui questo totalitarismo da terzo mondo decide di affidarsi. Bokassa che ha un numero incalcolabile di amanti, Bokassa che è un cannibale, Bokassa gentiluomo, Bokassa re sole, Bokassa militare esperto, Bokassa e la parte maledetta, Bokassa e tutto quello contro cui l’occidente ha lottato in nome di una parità tra le classi, tra i diritti e i doveri, tra un concezione feudale ed un mondo globalizzato. Bokassa e le sue ragioni. Bokassa e la sua umanità. Bokassa e il pianto. Bokassa e la sofferenza. Bokassa e Barbablu. Bokassa pagliaccio. Bokassa eroe. Bokassa leader. Bokassa di infimo ordine.
La cosa terribile e magnifica è che Bokassa perderà il potere e sarà processato. Lui andrà in esilio a Parigi, per poi rientrare nella Republica Centroafricana così da scontare la pena inflittagli. Sì sconterà la pena e si convertirà ad una religione tutta sua, che è un misto tra cattolicesimo, paganesimo, zen, induismo, solipsismo, autoerotismo, misticismo, materialismo storico e via dicendo.

Herzog chiude il documentario filmando una scimmia da circo addestrata a fumare le sigarette. Fuma sigarette come un Humphrey Bogart navigato. Interessante vedere come il teutonico da me tanto amato in fin dei conti stia criticando il potere, che non sarebbe altro che una scimmia in carcere: Bokassa è il simbolo dei nostri politici che implorano dagli spettatori un po’ di nicotina.

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