In questo sito esiste una categoria di recensioni chiamata (non ufficialmente) Ferruccio Morandini, usata quasi esclusivamente da me, ma ideata da tutti gli altri bocciofili una sera in cui le grappe sembravano noccioline. Si tratta di una categoria negativa rispetto al concept del blog, perché parla effettivamente di cinema. Qualcuno potrebbe definirla l’eccezione che conferma la regola, eccezione a lungo osteggiata e alla fine quasi morta. Appunto… quasi!
Che Blade runner 2049 non fosse al livello di Blade runner era un fatto aprioristicamente assodato, ma Villeneuve è stato capace di riportarci al cinema per mostrarci una magnifica sequenza di immagini costruite impeccabilmente. Non era affatto scontato ricreare il mondo cyberpunk di Rick Deckard senza scadere in una genuflessione nei confronti del film cult di Ridley Scott (qui in veste di produttore esecutivo), per cui nonostante la presenza di qualche errore di sceneggiatura (che non verrà spoilerato), dobbiamo toglierci il cappello di fronte a questa pellicola di 163 minuti in cui non ci si annoia mai.
Il film del 1982 aveva avuto una storia abbastanza complessa, dal momento che il prodotto ideato da Scott aveva un pessimismo di fondo che faceva tremare i produttori, i quali decisero di modificare il finale e altre parti della storia per garantire agli spettatori una specie di lieto fine. Negli anni uscirono poi diverse versioni del film. La versione che Blade runner 2049 usa come riferimento è la director’s cut, anche se il dubbio insinuato alla fine del primo film, quando Deckard trova l’origami di carta di un unicorno, facendoci dubitare della sua dimensione ontologica (ma allora era un androide anche lui?), viene a suo modo ripetuto e ribaltato dall’ovvietà che Harrison Ford sia invecchiato (può un androide invecchiare nel senso umano del termine? Non dovrebbe diventare obsoleto, piuttosto che anziano?).
D’altro canto tutto il film di Villeneuve è un continuo ribaltamento della pellicola di Scott. Certamente gli omaggi e le citazioni non sono poche, ma se il conflitto del primo capitolo risiedeva nella querelle ontologica ed esistenziale celata nel Test di Turing (se una mente artificiale è capace di ingannare un uomo, non può allora ingannare anche se stessa e credersi umana?), nel film di Villeneuve sembra piuttosto il contrario, ovvero la scoperta nel robotico di qualcosa di organico. Il passaggio consiste dallo statuto mentale e virtuale a quello fisico e incarnato, per cui il problema si trasforma in: ma se il robot è carne, allora non può scoprirsi umano?
Non solo, ma la figura dell’androide (mai ruolo migliore fu pensato per Ryan Gosling [famoso tra i suoi detrattori grazie alla monoespressione glaciale e priva di empatia]) non è forse una metafora dell’ambiguità esistenziale in cui la tecnologia rischia di farci sprofondare, con una progressiva perdita del contatto umano e una graduale modifica del tessuto relazionale sempre più simile ad un insieme di monadi connesse e al tempo stesso isolate? Queste monadi che hanno bisogno di relazioni ormai trasformatesi in puri soggetti virtuali e seduttivi che ricordano Her di Spike Jonz, sconfesserebbero il pessimismo del primo capitolo attraverso la riscoperta del rapporto sociale stesso, il quale sicuramente verrà approfondito in un terzo capitolo della saga che dovrà essere girato abbastanza presto, dato che Harrison Ford non è infinito (anche se apparentemente lo sembrerebbe).
Dunque se non sappiamo più se siamo effettivamente dei robot (potremmo anche scoprirci degli esseri umani) e se l’alienamento contemporaneo comincia a vacillare, ecco allora che Villeneuve omaggia e uccide al contempo suo padre, che Blade runner 2049 continua e nega al contempo Blade runner. Non basta questo per applaudire (nonostante qualche errore di sceneggiatura) la pelicola?
Se dovessimo considerare il cinema come uno specchio entro cui riflettere la nostra immagine, allora sembrerebbe che Blade runner 2049 voglia convincerci che noi spettatori siamo tutti degli androidi e che sarebbe giunto il momento di intraprendere il cammino per diventare più umani, nuovamente e finalmente.
Grande film!
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