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In fuga dalla bocciofila

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Bhavesh Joshi Superhero | Piccoli superhero crescono

6 Settembre 2018 di Salvatore Cherchi

Li vede dall’alto della collina. Il bambino più grande guida il gruppo, gli altri seguono e fanno baccano. Giocano su una strada sconnessa e in pendenza.

Portano una malconcia Ape Car in cima. Il più grande sale al posto di guida ed esorta gli altri a spingere, poi saltano tutti dentro il cassone e sfrecciano giù, lungo la strada. Appena il mezzo prende velocità, si ribalta e schizzano fuori. Rovinano sull’asfalto. Rimbalzano come palline di gomma. Si rialzano e turbinano attorno all’Ape coricata sul fianco.

Quando il bambino più grande viene fuori, esplode un’ovazione di trionfo, di cui percepisce appena l’eco. Poi di nuovo su per la strada, per un nuovo giro.

Vorrebbe andar lì e prendere parte al gioco, ma non può. Ha una nobile missione da seguire.

***

È partito qualche giorno prima. Ha riempito un fagotto di viveri ed è sgattaiolato dal giardino sul retro di casa. Sulla scrivania, una lettera d’intenti e non d’addio: la promessa che sarebbe tornato. Più forte. Purificato. Preparato.

Avrebbe vagabondato per campi e pianure, boschi e colline, tra vigne e oliveti, tra campi di mais e granturco, lontano dalla città. Avrebbe costruito un rifugio di fortuna, mangiato frutti e cacciato lepri e conigli. Si sarebbe allenato. L’allenamento era fondamentale: un albero da scalare, una strada da percorrere, un torrente da guadare o un lago da attraversare. Qualsiasi cosa, per temprare spirito e fisico e onorare la promessa.

Solo allora sarebbe tornato. Capelli lunghi e barba folta. Un eroe di guerra. Highlander. Le cicatrici e lo sporco addosso. La pelle dura ma mai quanto lo spirito.

***

Dopo qualche giorno di cammino è arrivato a un abbeveratoio. Si sente debole e assetato, ma non riesce a bere per i forti crampi allo stomaco. Ha la diarrea per la troppa frutta mangiata.

Li ha notati solo dopo che si è sciacquato la faccia. Non è riuscito a contarli, ma capisce che sono tanti. Il capo branco è il più grande e aggraziato. Magro. Un fascio di nervi. Il pelo bianco. L’ha guardato con ammirazione e l’ha immaginato suo fedele compagno d’avventura. Ma quello è nato randagio. E i randagi ringhiano, minacciano, proteggono il territorio. Non vogliono padroni.

Non gli è restato che fuggire terrorizzato. Si è sentito al sicuro solo quando, voltandosi, ha visto la polverosa strada bianca deserta. Allora si è fermato a prendere fiato e si è sentito leggero, non solo nello spirito, ma concretamente: ha lasciato il fagotto all’abbeveratoio.

Col coraggio che la sfida richiede, ha deciso di tornare indietro. In prossimità, si è arrampicato sulla pendice di una piccola collina per avere una visuale migliore. Da lì, ha visto i randagi appisolati attorno alla fontana, e il fagotto.

Ha raccolto un bastone, pronto a scagliarsi, a lottare, a difendere, come natura chiede. Ma un rumore familiare l’ha fatto allertare. Anche i cani si sono destati e dispersi abbaiando. Si è quindi acquattato e nascosto.

Alla fontana è arrivato un vecchio fuoristrada. Un uomo in abiti logori e impolverati è sceso per riempire due bidoni d’acqua, e ha notato il fagotto. Si è avvicinato. L’ha preso. L’ha ispezionato, fuori e dentro, e l’ha portato via con sé.

Davanti a quella sconfitta, non ha saputo reagire se non con un pianto sommesso. Ora sarebbe stata più dura: nessuna borraccia, nessun coltello, nessun sacco a pelo. È rimasto su quel lembo di terra tutta la notte, raggomitolato su sé stesso, impaurito, infreddolito, sino a che il sonno non l’ha tramortito.

All’alba ha ripreso a camminare.

***

È arrivato sulla collina in prossimità del centro abitato. I crampi allo stomaco non sono passati e la nostalgia di casa è cresciuta. Ha dolore alle ossa e le mani incrostate di terra. I capelli ispidi dalla polvere e i denti impiastrati di zuccherina e latte di fichi. È pallido.

Lo spirito vacilla. La volontà viene meno. In fondo, ha solo dodici anni. Trova la forza per venire a patti con la promessa.

La scelta di intraprendere il viaggio è nata dall’ingannevole sovrapposizione di realtà e fantasia. Gli eroi puri, senza macchia e compromessi, sono stati il modello d’ispirazione. Lo scopo: cancellare lo strato adiposo che la vita borghese gli ha cucito addosso in anni di sedentaria passione e fruizione di videogame e cartoon. Un guscio informe e soffice, fiacco, inadeguato a proteggere l’animo fragile che lo riempie. Per farlo, ha scelto di affrontare sé stesso nella natura. Ora deve decretare chi dei due è stato sconfitto.

***

Deglutisce e si lancia giù di corsa. Occhi chiusi e denti stretti. Inciampa. Agita le braccia per afferrare l’aria e non cadere, ma si sbilancia in avanti e casca, fa un giro su sé stesso ed è di nuovo in piedi. Stordito, riprende a correre, sino alla strada. Era giorni che non camminava sull’asfalto. È comodo e semplice da percorrere. Si sente più veloce e leggero.

Raggiunge l’Ape Car e i ragazzi che giocano. Si fa spazio nel mucchio e l’afferra per spingerla, lungo la strada in pendenza. Quando prende velocità, salta insieme agli altri sul cassone. Gioiscono euforici. La ruota davanti prende un fosso. Il mezzo si impunta e ribalta. Finiscono tutti sull’asfalto. Striscia e si brucia la pelle. Sente il sangue.

Fa male.

A vederlo da lontano non sembrava, ma ora che ci ha provato ha capito quanto.

 

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Postato in: Festival Tag: ape car, Bhavesh Joshy Superhero, bollywood, fuga, Harshvardhan Kapoor, supereroi, Vikramaditya Motwane Fai un commento

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