Delle settimane che precedettero l’uscita del romanzo ho ricordi nitidi.
La casa di Largo Bargellini al mattino, le nove meno venti, rondini che volano impazzite fuori dalla finestra, il cestello della lavatrice che gira ritmicamente, l’attesa che arrivi la spesa dell’Esselunga.
Sono ricordi chiari e distinti, sebbene siano scollegati tra loro. Così sono questi ricordi: frammenti che mancano di una reale connessione, di un collegamento tra loro o con il presente.
A posteriori qualcuno mi ha chiesto se prima dell’uscita del libro io, gli editori o qualcuno che avesse magari già letto il prestampato si rendesse conto. Se avessimo anche lontanamente sospettato. Se c’era qualche segnale che permettesse d’intuire, magari un retropensiero rivolto ai trend di mercato o alla generazione Z, oppure una considerazione generale su certi segmenti di pubblico o altri dati incrociati.
Non so rispondere.
Qualcuno, a distanza di molto tempo, mi ha chiesto di ricordare quelle settimane prima dell’uscita, come passavo le mie mattine di maggio del Duemilaventuno, come trascorrevo le mattine prima di entrare a lavorare, che pensavo, cosa sognavo di notte.
E se riuscivo a intuire il successo, le copertine, i quotidiani e i telegiornali nazionali, perfino il settimanale più amato da mia madre che tenevamo in bagno senza neanche sfogliarlo: che grandissima felicità per lei vedermi sulla copertina traslucida, a braccia conserte, un mezzo sorriso sghembo; e la lettera in alto a sinistra, come un sigillo, come una carezza.
Qualcuno mi ha chiesto se me l’aspettavo, se lo immaginavo che le cose sarebbero andate così, da Fazio, da Zoro, da Augias naturalmente, l’intervista con Saviano nell’inserto culturale di Repubblica. Poi le ospitate, il premio Strega, il giudice a Italia’s got Talent, insomma tutte quelle cose che oggi definiscono la mia vita.
Forse sì, rispondo poco convinto.
Ancora oggi a distanza di tempo mi chiedono di ricordare cosa pensasse Diana del romanzo in uscita, lei che, all’epoca, lavorava ancora. Se uscendo di casa al mattino per andare in ufficio mi rivolgesse uno sguardo di sfuggitissima e avesse un milionesimo di presentimento di come stavano per cambiare le nostre vite di lì a poco. Se immaginava che non avrebbe più dovuto lavorare, l’attico a New York, gli aerei privati, la co-conduzione di Sanremo.
Se almeno Diana avesse intuito qualcosa mentre usciva di casa, scorgendomi nel letto, sepolto dalle coperte, o se perfino lei non attese l’alba atomica che stava per sorgere come una qualsiasi mattina di primavera.
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