Discutono ancora non sanno su cosa, ma l’importante è che stiano discutendo, che, come diceva il mio professore di storia e filosofia al liceo, le coppie si sbriciolano quando smettono di parlarsi. E di ascoltarsi.
Siamo arrivati in quel vasto multisala dall’odore di burro-pop-corn e formaggio-fuso-nachos che gli innumeri spettatori già chiudevano le loro bocche nell’oscurità dei propri incubi fantascientifici. Cominciava così questo film ispirato ad un racconto di Ted Chang che ancora non ho letto ma che prestò farò.
La trama? Delle gigantesche e baccelliche astronavi aliene arrivano sulla terra e si piazzano a pochi metri di altezza dal suolo del nostro piccolo mondo. Sono 12 nerosuperfici e 2001-odisseiche pilastriche astronavi in attesa. Nessuno sa cosa vogliano esattamente dall’umanità. I governi delle più importanti nazioni mondiali le circondano con l’esercito in un attacco di panico degno delle più nere blatte esoscheletriche e cercano di stabilire i primi rozzi contatti da Incontri ravvicinati del terzo tipo, anche se con meno lucine colorate. Solo che gli alieni parlano un altro linguaggio dentro ad un bagno turco (molto The Mist) che evidentemente non ha niente a che fare col linguaggio umano. Che fare? Gli statunitensi decidono così di ingaggiare la linguista più importante e famosa del mondo, una splendida e densa Amy Adams (sempre più tra le mie attrici commerciali preferite del momento) per vedere se riuscirà a trovare un modo per insegnare agli alieni la lingua umana e poter così capire cosa vogliano dal pianeta terra. Che vogliono? Perché non fanno nulla? Ma davvero non stanno facendo nulla?
Dato che il film [per quanto pecchi un po’ in originalità nel climax dal punto di vista strutturale] mi è piaciuto, non vi spoilererò se la cremosa Amy Adams riuscirà a salvare il mondo, ma posso dirvi che quando il film è finito e mi sono alzato in piedi, le varie giovani ragazze cercavano di spiegare ai propri fidanzati il significato di quello che avevano visto, come se un improvviso impulso esterno avesse attivato per un attimo le facoltà riflessive dei loro pigri occhi a palla da multisala. Chiaramente chiunque può dirmi che io non sono nessuno per giudicare la qualità delle speculazioni altrui e che la mia arroganza è disgustosa e maschilista, ma ascoltando queste ragazze in modo frettoloso e incuriosito percepivo che avevano acchiappato il senso generale della storia (i fidanzati, ad essere sinceri, un po’ meno, che gli uomini sono o troppo analitici o troppo stupidi esattamente come in Arrival) e che le loro emozioni stavano tentando di dare forma a quello che potremmo chiamare giudizio sintetico a posteriori sentimentalmente configurato. E la cosa era buona e piena di ottimismo per l’umanità. Anche se questa pellicola poi non è che un protrettico alla letteratura e al multilinguismo (e qui mi devo fermare per non spoilerare).
Ecco cosa mi è piaciuto particolarmente di questo film: che nonostante tutto continueremo sempre a scegliere il nostro triste, doloroso destino e nonostante questo sceglieremo anche di essere felici. Solo così, con questa pesante e nietzschiana consapevolezza potremo un giorno salvare il mondo, tornare a dialogare, non dividerci. Ti prego abbracciami. A volte la notte mi sento solo. Il buio che avanza. La mano che trema. Le parole che non arrivano alla mia gola. Il tempo va avanti e indietro e tutti pensano che io sia pazzo. Non sono pazzo. Cerco solo di salvarmi. Come tutti. Nonostante si scelga sempre il nostro destino. Nonostante il destino sia immutabile.
ATTENZIONE!!!!!!!!! ATTENZIONE!!!!!!!!!!! ATTENZIONE!!!!!!!!!!!! ATTENZIONE!!!!!!!!!!!!
SOLO PER CHI HA GIÀ VISTO IL FILM PERCHÉ SI SPOILERA DURO NEL SENSO PIÙ LETTERALE DEL TERMINE ATTRAVERSO DELLE SOVRAINTERPRETAZIONI CHE PROBABILMENTE CI VEDO SOLO IO OVVERO CHE…
Se è vero che il linguaggio alieno a forma di circonferenza emula il tempo e che l’arma finale che viene consegnata ad Amy Adams consiste proprio nella capacità di viaggiare avanti e indietro nella piccola circonferenza esistenziale che caratterizza la vita singola di Amy proprio grazie all’aver imparato una nuova lingua aliena, abbiamo allora in questo film una duplice teoria del tempo che ci porta ad una conclusione finale, secondo una dialettica che grazie al cielo non è hegeliana:
1) tempo lineare, confermato dalla affermazione, alla fine del film, dell’eptopode che confessa che la sua razza ha deciso di donare l’arma agli umani in cambio di un aiuto che gli umani renderanno agli eptopodi 3.000 anni dopo. Siamo di fronte quindi ad uno scambio di favori che può ricadere tranquillamente nella teoria del dono di Malinowski e che implica una reciprocità economica e dispendiosa che trova nella comunicazione il suo potlach distruttivo ma anche salvifico. Ovvero evolvere il proprio linguaggio (i limiti del mio linguaggio sono i limiti del mio mondo) in una direzione emotiva e relazionale è l’altare su cui sacrificare alcuni aspetti dell’umanità in modo tale da poterci salvare: ovvero dovremmo bruciare alcuni aspetti più violenti ed egoistici della nostra natura nel tempio del linguaggio donatoci dagli alieni per evolverci in un modo tale che tra 3.000 anni renderemo con gli interessi il dono agli alieni salvandoli in un modo che non possiamo neanche immaginare. Da questo punto di vista il messaggio del film potrebbe essere che la comunicazione semplificata ed emotiva ma temporalizzata tra le parti eviterà la guerra globale. E questo è un messaggio tanto vero quanto ridicolo.
2) Tempo circolare: ma nella linearità del tempo si condensano piccoli grumi individuali di circolarità. Queste goccioline non sarebbero altro che le nostre vite. Imparando a viaggiare nel proprio singolare tempo Amy Adams salverà il mondo. Essendo questo tempo circolare ed eterno (per quanto destinato a concludersi se considerato nella linearità) non esiste più un prima o un dopo e dunque ecco come fa Amy a sapere ogni cosa: ha già vissuto il suo futuro. Ma questo stranamente significa che ogni scelta che prenderà, per quanto determinata, sarà pur sempre una sua scelta: sa che sua figlia morirà di leucemia e decide comunque di rimanere incinta (sarebbe comunque rimasta incinta, ma è felice di rimanere incinta nonostante l’abbia già seppellita). Voglio dire: sarebbe successo lo stesso, ma lei decide di farlo comunque. Sceglie liberamente quello che ad un primo sguardo potrebbe apparire determinismo. Quello che il tempo circolare in questo film ci suggerisce è che il libero arbitrio equivale al volere il ritorno dell’uguale e cioè, in questo caso, la maternità e il lutto: il vero significato del titolo “Arrival” non è da considerarsi riferito agli alieni, ma alla figlia che Amy decide di far nascere, nonostante sia già morta.
3) Qual è l’unica esperienza che ci permette concretamente di passare dal presente al futuro al passato senza muoverci di un passo da noi stessi? Considerando che il film parla di scrittura, mettendo un attimo tra parentesi che Derrida e tanti altri prima e dopo di lui sostenevano che tutto è scrittura (quindi qualsiasi cosa plasmata dall’uomo), possiamo concludere che l’arma che gli alieni ci consegnano è rimparare a leggere (e direi più in particolare leggere romanzi), la più alta forma di viaggio nel tempo che l’uomo sia mai riuscito ad inventare. Villeneuve ci sta sottilmente consigliando di tornare a leggere, che solo così scopriremo chi siamo, che solo così il mondo salveremo.
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