Di Beatrice Tomasi
Lineas entre dos Mundos
Doveva soltanto prendere un cerotto. Sangue sulla mano e sulle dita viscide e appiccicose che teneva premute sul lobo, doveva continuare a fare pressione finché non lo avrebbe trovato. Andò in bagno, spedita, sapeva dov’erano. Sfilò con fatica la scatola. Aveva visualizzato la precisa disposizione degli oggetti al suo interno, certa di poter afferrare un cerotto in fretta e poter così andare a pulire le macchie del sangue caduto sul pavimento, si stava impregnando nelle mattonelle di cotto e sarebbe stato difficile mandarlo via. Poi, avrebbe cercato anche l’orecchino. Aprì il coperchio, spostò dei vecchi applicatori per una crema vaginale, un rotolino di garza, bustine di gastroprotettori scaduti, finché le unghie grattarono sul fondo della scatola: non c’era più nulla.
La confezione dei cerotti non era lì, non c’era, tirò fuori tutto il contenuto posandolo sulla lavatrice e usò d’istinto anche la mano con cui stava tamponando la ferita, macchiando di rosso quegli oggetti inutili sparsi di fronte a lei. Rimase qualche secondo a guardarli, poi aprì il rubinetto e fece scorrere l’acqua fredda sulle dita, che riportò poi all’orecchio che bruciava, e continuava a buttare fuori sangue. Doveva trovare i cerotti. Staccò un pezzo di carta igienica dal rotolo e, schifata, lo avvolse intorno al lobo; poi con la mano libera iniziò a tirare giù dalle mensole ogni contenitore. I cerotti dovevano essere per forza in bagno, frugò tra vecchi campioncini di shampoo, elastici per capelli, capovolse la scatola delle medicine non scadute. Il rumore dei blister le fece venire una fitta dietro la nuca, strizzò gli occhi e provò a pensare all’ultima volta che aveva usato i cerotti, sapeva di averli, avrebbe scelto quello tondo per coprire la ferita, poi avrebbe capito cosa fare, sentiva la carne penzolare disunita, innaturale, fredda per colpa del sangue che non accennava a fermarsi.
Lui era uscito subito, tutto sudato. Si era sfregato le dita sporche di sangue sui jeans, aveva preso le chiavi del pick-up e si era allontanato sgommando sulla ghiaia, la radio a volume altissimo, lasciando lei sola, in mezzo alla stanza, con le piccole gocce di sangue che si allargavano sul pavimento. Doveva trovare i cerotti. Si spostò in camera da letto, aprì d’istinto l’armadio che conteneva le borse da viaggio – non usate da anni, lì era forse rimasto qualcosa, c’era stato un tempo in cui partivano spesso, lei adorava i piccoli set da bagno degli hotel, le lime minuscole, i nécessaire da cucito, le spugnette per pulire le scarpe, e teneva sempre da qualche parte un kit da pronto soccorso, doveva esserne rimasto uno in qualche tasca, certo armeggiare tra quelle vecchie valigie con una mano sola non era facile, eppure doveva soltanto trovare un cerotto, uno solo, fermare il sangue, apriva cerniere e frugava nel niente, non era rimasto nulla di quei giorni che passavano fuori, solo pelle sbiadita e zip inceppate.
Un primo ululato la fece soprassalire, d’istinto si coprì le orecchie, la carta igienica impregnata di sangue finì per terra. Non riusciva ad abituarsi ai latrati del cane di Gemma, un maremmano enorme e candido, sembrava protestare per l’assenza di bestiame cui badare, abbaiava senza tregua, bastava un minimo movimento. La fitta alla nuca tornò e si dovette sedere sul letto. Chiuse gli occhi e sentì il suo corpo lievitare, tutto formicolava e la rendeva leggera, assente, lontana. Eppure il cane continuava ad abbaiare, e lei non aveva ancora trovato i cerotti. Doveva andare da Gemma.
Suonò il campanello della vicina, la mano all’orecchio a proteggere il lobo, la bocca asciutta e la testa che pulsava. Gemma aprì immediatamente, come se fosse già dietro la porta: la guardò senza emettere un suono, soltanto afferrandola delicatamente per il gomito e portandola in cucina. Sul tavolo stavano ordinati una boccetta di acqua ossigenata, del cotone e una scatola di cerotti. Era una scatolina di latta con il disegno di un cuore stilizzato tutto incerottato. Da lì Gemma prese un piccolo cerotto tondo e, dopo aver delicatamente pulito la ferita, lo applicò sul lobo per tenerlo unito. Buttò il cotone usato e si lavò le mani, poi aprì il frigo e prese una caraffa di spremuta d’arancia che versò in due bicchieri già sul bancone. Marisa bevve, avida, sporcandosi le labbra. Guardò ancora Gemma negli occhi e sembrò che la dolcezza della spremuta arrivasse in ogni sua parte; fu solo allora che sentì scendere una lacrima, mentre Gemma le stava porgendo un tovagliolo di stoffa.
Il cane ricominciò ad abbaiare: erano latrati tesi, convulsi, e le donne si scambiarono l’ennesima occhiata silenziosa, questa volta più lunga e intensa. Marisa posò il bicchiere sul tavolo e si diresse veloce verso la porta. Poco dopo, Gemma sentì la ghiaia scricchiolare sotto le gomme del pick-up. Lo Stronzo era tornato. Si affacciò alla finestra e lo vide scendere da quell’affare ridicolo, un’auto sovradimensionata accanto alla quale sembrava ancora più piccolo e inutile. Lo vide guardarsi intorno, darsi una strofinata in mezzo alle gambe e infine attaccarsi al campanello. La porta si aprì e Lo Stronzo sparì all’interno. Gemma si spostò allora in camera sua. Da lì poteva sentire cosa succedeva dall’altra parte.
La prima volta che sentì urlare nell’appartamento dei vicini pensò di chiamare i carabinieri. Era mattina presto e le grida andavano avanti da ore: non che dovesse fare qualcosa in particolare quel giorno – quale giorno, poi, aveva qualcosa da fare – ma era una questione di principio, la gente non poteva fare sempre come voleva. Poi però sentì bussare alla porta, e le apparve Marisa davanti, gli occhi coperti dai capelli, che farfugliò delle scuse per la confusione che forse aveva sentito. Gemma le scostò i capelli dal viso, e da quella volta si tenne pronta. Sentì lo sciacquone del bagno, e poi più nulla. Il maremmano continuava ad abbaiare. Più tardi avrebbe dovuto portarlo a fare una passeggiata.
***
Questo racconto fa parte della rubrica Lineas Entre dos Mundos, percorso di avvicinamento all’edizione 2024 del festival Entre dos Mundos, dedicato al cinema iberoamericano, che si terrà a Firenze dal 19 al 21 settembre 2024. Da giugno a settembre, ogni settimana, pubblicheremo un racconto ispirato a un film scritto, diretto, girato e prodotto in un paese dell’America Iberica.
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