di Raffaele Calvanese
Top five delle canzoni da trasloco: Dimmelo tu cos’è di Antonello Venditti, immancabile. Trasloco di Sergio Endrigo. Casa mia dei Timoria, che fa anche rima. Wherever i lay my hat di Paul Young e Amore ai tempi dell’Ikea de Lo stato Sociale.
Le mie scatole sanno di te, di me, di tutte le storie vissute tra queste quattro mura. Mura che ora sto spogliando come si spoglia un corpo in disarmo, una storia in disarmo, in attesa di indossare vestiti e sensazioni nuove. È quella macchina guidata da mio padre, io seduto dietro, sempre sonnolente, ovunque fossimo andati. Mia madre che diceva “Mettiamo quella di Venditti?” e quella cassetta che già andava come se non ci fosse una meta, come se non ci fosse distanza impossibile da coprire. La mia testa che penzolava all’indietro mentre andava la musica che piaceva a mia madre e che mio padre aveva registrato apposta. I miei amavano cambiare casa spesso. I traslochi sono sempre stati un’opzione normale nella mia vita. Almeno credevo.
Me lo avevi detto anche tu, non credevi che riuscissi a farlo. Mi avevi sfidato senza mezzi termini.. “Non ne sarai mai capace” avevi detto.
Andar via da un posto dove hai vissuto a lungo è come salpare da un porto sicuro. Ogni mattone trasuda pensieri, emozioni e ricordi. Una strada su cui puoi camminare bendato senza perderti. Mentre ora tutto quello che mi serve è soltanto perdermi. Perderci.
Ricordati di me, quando ridi quando sei da sola, quando traslochi e impacchetti le tue cose. Quando tuo padre registrava le cassette con la musica che piaceva a tua madre. Quando il tuo negozio di dischi si allontanerà così tanto che dovrai guidare quasi un’ora per arrivarci. Quando sei solo un passeggero e la musica va, non l’hai scelta tu, ma lei ha scelto te per farti ricordare per sempre quei momenti. Li rimpiangerai anche se non lo sai, ora che il volante è tuo, che la strada da scegliere tocca a te.
Cosa portare per forza e cosa assolutamente lasciare quando si cambia casa? Tutto quello che riesci a ricordare lo avrai per sempre, quello che hai dimenticato era inutile o troppo poco doloroso. Ciò che non perderò mai è nei 3 o 4 minuti delle canzoni che ascolto ancora. Dentro quei pesantissimi scatoloni pieni di vinili.
Sono triste perché faccio playlist malinconiche o sono le mie playlist a rendermi triste?
C’è spazio a sufficienza per un giradischi e un amplificatore in mezzo alle cose serie che servono per diventare grandi? Siamo degli snob, ascoltiamo vinili sapendo che è più scomodo. Ci illudiamo che il solco in cui si insinua la puntina ci farà sentire meglio parole e musica senza accorgerci che quei solchi sono su di noi, gallerie scavate sui nostri volti, graffi laceranti nella nostra memoria. Crediamo che quella musica sia stata scritta solo per noi, per le nostre storie uniche, inimitabili ed esattamente uguali a quelle di altri milioni di sfigati come noi.
Le persone traslocano senza fare drammi, professionisti dell’imballaggio. Individui capaci di spolverare a regola d’arte. Uomini e donne che si svegliano all’alba, guidano per ore, non hanno tempo libero, ed io sto qui seduto in un soggiorno semivuoto pensando di essere quello speciale. Quello con la verità in tasca e la malinconia sotto la puntina. Non ho ancora trovato il coraggio di smontare il giradischi.
Top five delle canzoni adatte a questo momento che vivo solo in un salotto semivuoto: Morgan – Altrove, Gomma – Fantasmi. Giorgio Poi – Non mi piace viaggiare, Bugo – Casalingo, Elio e le storie tese – Nubi di ieri sul nostro domani odierno.
Sono abitudinario, la routine mi rassicura, e tu mi chiedi una rinnovata fedeltà. Una fedeltà diversa, nuova. Alta fedeltà non tanto a quello che sono ma a quello che voglio diventare. A quello che saremo. Fedeltà alle promesse che ci siamo fatti. Ai dischi da ascoltare e alla musica da snobbare. A quella nuova da comprare, da accumulare nei nostri nuovi scaffali condivisi.
Poi il campanello, tu con un disco tra le mani, ancora sigillato. Sulla copertina rosso sangue il volto di una ragazza distesa sul cuscino. “If you’re feeling sinister” dei Belle and Sebastian.
“Come ti senti?” mi hai detto.
Il tempo di aprirlo e metterlo sul piatto, quella canzone che volevo dedicarti e che tu hai dedicato a me. Suonami una canzone per liberarmi. Portami via da qui, sto male.
“Andiamo” ti ho detto.
Staremo bene, come in quel libro di Romagnoli, avremo tutto ciò che ci serve nel bagaglio a mano, qualche disco da snob e una cuffia da attaccare a un cuore. E quando le cose andranno male guideremo per un po’, la musica te l’ho già preparata, è quella che piace a te, sarà lì pronta quando mi chiederai se ce l’ho. Guideremo fino al negozio dove altri dischi ed altri snob saranno pronti per star male insieme.
BIO:
Come tutti quelli che non sanno né cantare né suonare, per pura invidia, Raffaele Calvanese scrive di musica. Recensisce dischi, libri e concerti su alcune riviste online. Ha da poco pubblicato il suo primo libro “Di che cosa parla veramente una canzone” che unisce musica e narrativa.
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