5 affermazioni sul nuovo film di Muccino sono quasi il massimo delle affermazioni possibili sul nuovo film di Muccino.
- Da quando ho scritto un romanzo mi sento arido come un film di Muccino. Mi sento prosciugato come la trama di un film di Muccino, come un sedicenne in un film di Muccino, come una svolta narrativa in un film di Muccino, come una colonna sonora di Nicola Piovani piegata agli scopi di un film di Muccino.
Da quando ho scritto un romanzo sono diventato retorico come un personaggio di Muccino, mi muovo come si muoverebbe un personaggio di Muccino, dico battute che direbbe un personaggio di Muccino, vado a lavoro, parlo con la mia ragazza con l’aridità che hanno i personaggi di Muccino.
Passerà, mi dico, starò meglio, tornerò a dire e pensare cose sensate, tornerò a scrivere decentemente, ho sempre scritto e tornerò a farlo, anzi ho scritto fin troppo, non mi sono mai fermato e forse è questo il momento di prendermi una bella pausa dalla scrittura. Ma poi, quando termino di scrivere questa frase, mi appare fasulla come la fine in un film di Muccino. - Comunque dopo tanti anni di diserzione, questo è il dato, siamo tornati al cinema a vedere Muccino. La critica, o meglio, una minuscola parte della critica, cioé Luca Pacilio, sembra che abbia salvato il film invece dalla preannunciata stroncatura. E allora, complice la vicinanza del cinema e la Pasqua, siamo tornati a vedere Muccino. L’abiurato Muccino. Il rinnegatissimo, l’infangato Muccino. L’americano Muccino, il fratello coltello, Muccino. E niente, era il solito Muccino, davvero, quello di tanti anni fa, il solito Muccino, i soliti attori cresciuti e invecchiati, il solito film già visto (anzi due film in uno: Compagni di scuola più Il più bel giorno della mia vita), insomma, ce ne siamo stati là a guardare il film di Muccino, come ai vecchi tempi.
- C’era una seduta accanto a me che mentre passavano i trailer e i titoli di testa stava al cellulare. E l’avrei dovuto capire fin da subito, e non darle nemmeno una possibilità, che fosse solo un momento, avrei dovuto capirlo, e invece le ho dato fiducia e ho sperato non fosse la tipica spettatrice incapace di assistere un film al cinema. Lo era. Ha iniziato, come se avesse sei anni, il più classico dei processi di idientificazione con una dei personaggi. Diceva, riferendosi a una dei protagonisti: Ecco, lei sono io. Continuava a ripetere a voce medio alta questa stronzata. Questa sono io, sono io. Ecco, sono io.
Io ho capito che lei era lei e che non aveva superato il test dello specchio. La guardavo, sperando che il mio sguardo nell’oscurità la portasse ad avere un po’ di contegno, ma era tutta persa nel suo processo di identificazione, come un bonobo, come una gazza, pensavo tra me e me. Poi per fortuna, mia, il ruolo che lei rivestiva, degenerava in una spirale di pazzia e il processo di identificazione, che si sarebbe dovuto allora compiere, era interrotto. Non era più lei? Non voleva più essere lei. Meglio così. - Il nuovo film di Muccino, scopro che come al solito non ho niente di interessante da dire, ha un finale che è una citazione di Moretti: i protagonisti sono in auto e cantano una canzone “Arrivederci amore ciao”, anzi no, un’altra canzone, ma è veramente quella stessa scena là.
- Quando in un film di Muccino ma in generale: sempre, c’è un personaggio che fa lo scrittore io comincio a sudare freddo. Qui lo scrittore lo fa Stefano Accorsi, e per fortuna, per mia fortuna, i ragazzi che hanno scritto la sceneggiatura non hanno voluto infierire.
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