Cara sorella mia cara, cari tutti
Vi scrivo dal fronte qua in Francia. La prima cosa che tutte le mattine, finché son vivo, faccio è quella di scrivervi una lettera. La fatica anche solo di impugnar questo lapis per rivolgere il mio pensiero a voi è sì grande che appena viene distribuita la gavetta già son spossato. Mi dovrete scusare se vi invio queste parole senza il sello, che la ceralacca ha un costo che non posso permettermi. I pochi soldi che ho li spendo per stare in compagnia coi miei commilitoni o per mangiar qualche prelibatezza quando torniamo a riposar nelle retrovie: del pane di farina bianca, qualche fetta di salame, alcuni bicchieri di cognac per risollevare il morale. Inoltre, quando siamo a così minima distanza dai crucchi, non si puole abbandonar mai il posto nelle trincee, se solo osassi allora rischierei venti anni al bagno penale o la fucilazione e così diventa arduo recarsi allo spaccio, sempre affollato, sempre rumoroso.
Qua la situazione non è delle più allegre, ma non posso ciarlar troppo sui particolari, che ogni missiva deve prima passare al vaglio della polizia militare; posso solo raccontarvi che qua teniamo tutto il tempo gli scarponi nel fango e una notte non è bastevole per farli asciugare. I grossi ratti neri squittiscono accanto alle brande tutto il tempo concessoci per riposare, e talvolta qualche stupido desidera che ricominci il bombardamento dei cannoni tedeschi per farli chetare. Sono grossi e affamati e dinnanzi a nulla parrebbero arretrare, ci tocca spesso sprecar qualche pallottola per far dell’igiene dentro al dormitorio, anche se il caporale lo considera un male. Ci ripete di continuo che quel metallo non lo si deve sprecare.
Inoltre i giorni prima che si organizzi una carica, ben presto al mattino ci dobbiamo levare, di modo che ancor più faticoso diventa cercar di scrivervi queste lettere, ma il terrore che si prova quando usciamo gridando dalla trincea, mi spinge a trovare il tempo ogni giorno per darvi notizie qua dal fronte francese e dirvi che, finché son vivo, non mi arrenderò. La battaglia è una cosa talmente spaventosa che non so trovare il modo per darvene un’idea. E appena son tornato dentro la trincea devo ripigliar fiato e non ricordo più nulla, se non le grida per farsi coraggio di fronte alla morte. Alcuni commilitoni sognano a occhi aperti di incrociar qualche pallottola intelligente, che li ferisca a sufficienza da mandarli nelle retrovie, ma di modo che non ci sia amputazione o qualcosa di peggio. Vi sono poi i gassi asfissianti che i crucchi usano per aprirsi la via. Se tu li respirassi sentiresti tutto il tuo corpo che si essicca tra spasmi che appartengono agli epilettici, ma in questo caso poi non si respira più. Nonostante che il nemico sia un così brutale barbaro, non posso che temere che lo stesso loro pensino di noi. E mi viene sovente il dubbio che sprecar tutti questi danari per costruir tali complesse opere di morte sia un vero spreco per l’umanità intera, dato che le si usa per uccidere dei poveracci come me. Ma quei soldi, cara mia Sorella, non potrebbero darceli a noi per garantirci una vita solo un poco più bella?
Salutatemi tutti
Non voglio morire
Il Vostro Soldato semplice
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