Venticinque sono tanti, ma non è impossibile. Si può fare, pensava, mentre infilava la cartolina nella tasca della giacca. Considerando che ne aveva già ottenuto uno, adesso gliene mancavano solo ventiquattro e aveva un mese di tempo. Erano piccoli, tondi e incredibilmente luccicanti, di un argentato caledoiscopico, molto affascinanti in tutte le loro minuscole sfaccettature. Per non parlare della colla, che era davvero di altissima qualità, non saresti mai riuscito a staccarli senza portar via la carta. Bisognava incollarli con la massima attenzione, seguendo precisamente i margini e stando ben attenti a non fuoriuscirne, per evitare che poi ti facessero storie. Pensava che per non avere problemi, in fondo, bastava non essere sciatti: che terribile difetto, la sciatteria. Pensava.
Questa volta gliene dettero solo due. Era stato molto parco, d’altronde, aveva preso giusto qualcosa di fresco per la settimana. Va bene lo stesso, pensò, era un buon compromesso tra il suo portafogli e il raggiungimento dell’obiettivo. Tre giorni prima poi, aveva avuto un vero e proprio colpo di fortuna. La signora che lo precedeva, signora davvero gentilissima, gliene aveva ceduti tre. Così, senza volere niente in cambio. Fu proprio ricordandosi di lei che decise di tentare di nuovo la sorte. Uscito sul piazzale individuò due ragazzini seduti su una panchina, bevevano succo di frutta direttamente dalla bottiglia e sgranocchiavano due grandi schiacciate farcite, qualcosa dovevano pur avere. Glielo chiese, sforzandosi di usare la massima gentilezza. Purtroppo, come tipico degli sciatti, non ci avevano fatto caso: non sapevano neanche di cosa parlasse. Che peccato che peccato che peccato, pensava, mentre affrettava il passo. Aveva perso tempo e doveva arrivare a casa il prima possibile. Doveva soprattutto evitare che la colla gli si scaldasse nella tasca, nel calore della giacca. Avrebbe potuto sciogliersi, non aderire, diventare filamentosa o colare rovinando tutta la cartolina e gli altri tredici: imperdonabile.
Aveva scoperto che con le bevande alcoliche se ne ottenevano di più, anche se non ne capiva il perché. Comprò tre bottiglie di vino per ventiquattro euro totali, conto molto al di sopra di quanto potesse permettersi, per di più se si considerava che era astemio. O meglio, non era proprio astemio, semplicemente non sapeva se gli sarebbe piaciuto bere perché non aveva mai potuto farlo. Era passato dall’infanzia alle medicine senza soluzione di continuità, dai bambini ai malati, queste due categorie umane che non hanno il diritto di bere alcolici. Non fa niente, pensò, le offrirò agli ospiti. Non che avesse dei veri e propri ospiti, chissà se Carolina si potesse considerare un’ospite e, soprattutto, chissà se a Carolina piaceva il vino. Glielo avrebbe chiesto mercoledì. Speriamo proprio che a Carolina piaccia il vino e speriamo proprio che mercoledì non sia il giorno in cui Carolina fa i conti.
Come tutti i mercoledì, il campanello suonò alle undici in punto. Carolina salì per le scale perché l’ascensore le fa paura. Questa paura lo diverte molto, lo fa addirittura godere: Carolina ha paura dell’ascensore, neanche Carolina è perfetta, Carolina sei debole. Le chiese subito se le andava un bicchiere di vino, purtroppo non le andava. Gli dispiacque moltissimo perché non gli venivano in mente altri ospiti a cui avrebbe potuto offrirlo e si sforzò di ricordare se suo fratello bevesse, ma non se lo ricordava proprio. Chiese a Carolina se il vino avesse una scadenza e lei rispose di no, ma che dipendeva anche dal tipo di vino. Concordarono che le sue bottiglie avrebbero potuto tranquillamente aspettare suo fratello a Natale: si sentì subito più tranquillo.
Carolina lo aiutò a pulire il bagno e la cucina, cambiarono il letto, fecero il bucato e una lavatrice. Aveva paura perché negli ultimi giorni si era fatto prendere la mano con i prodotti per la pulizia e temeva di essere rimproverato. È vero che mancavano ancora molti giorni alla pensione e che a lui restavano pochissimi soldi, ma è vero anche che i detersivi non sono deteriorabili. Se ne aveva comprati così tanti nelle ultime due settimane significava che per un sacco di tempo non ne avrebbe comprati più. Si sentì furbo e per niente in colpa. Per fortuna, quel mercoledì Carolina non controllò gli scontrini. Strappò il foglio al calendario, prese i sacchetti della spazzatura e gli fece l’odiosa carezza. Poi, col suo passo leggerissimo, scese le scale.
Il giorno del ventiquattresimo e venticinquesimo fu il più bello di tutti. Aveva comprato soprattutto frutta, cassette di frutta, ed ebbe paura fino all’ultimo momento. Era così teso che perse due arance, le vide rotolare fino in fondo al corridoio e si detestò. Non era una persona che perdeva le cose, lui. Non era una persona sciatta, lui. In quel momento però dovette cedere, recuperarle era impossibile. Era carico come un mulo ed aveva una certa fretta. Doveva sapere il prima possibile se era andato tutto bene, se non c’era per caso qualche problema, qualche esclusione. Un minuto di più e sarebbe impazzito. E poi la gioia, la gioia la gioia la gioia e l’adrenalina. Ce l’aveva fatta, varcava quella soglia con il mondo in tasca: il ventiquattresimo e il venticinquesimo.
La mattina dopo si svegliò pervaso da una grande calma. Alle undici in punto prese la cartolina che conservava dentro una busta di plastica trasparente e uscì di casa. Aveva controllato minuziosamente il tutto con la lente d’ingrandimento: sublime. Nessun margine era stato oltrepassato, nessun filo di colla bagnava la carta, nessun minuscolo triangolo caleidoscopico si era opacizzato, tutto era perfetto.
Lo accolse al bancone una ragazza. Aveva questi due occhi distanti, luccicanti, argentei, questi altri due cerchi perfetti: il ventisei e il ventisette. Nel porgerle la cartolina gli tremò la mano. Lei spalancò un sorriso larghissimo, da occhio a occhio: Complimenti! Ha attaccato venticinque bollini! Ha già pensato se vuole lo scaldavivande o l’estrattore di succhi?
Non ci aveva pensato. Non ci aveva proprio pensato.
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