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In fuga dalla bocciofila

Blog dal titolo fuorviante in cui si parla di cinema tra una divagazione e l'altra

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Toys – Giocattoli | La stessa fabbrica

12 Luglio 2018 di simone lisi

Se un film ha segnato la mia infanzia, ma non è detto che sia così dal momento che la mia principale dote è non sapere nulla di me stesso, quel film è Toys – Giocattoli.

Film che come riportano gli annales, fu un flop (“pretenzioso e noioso”) ai botteghini e fu stroncato dalla critica per una volta unita (“inutile”).

Eppure a tanti anni di distanza io ricordo ancora di quel mondo se non fantastico quantomeno fantasioso, in cui i giovani Robin Williams (Leslie) e Joan Cusak (Alsatia) assistono impotenti alla fine della loro infanzia.
Era un film segnato dalla perdita, Toys, o almeno io lo ricordo così. Il padre dei protagonisti era una voce in una stanza chiusa che stava morendo, o era già morto. La madre invece non c’era mai stata. La madre non aveva avuto neanche la possibilità di morire, in quel film.

Io, piccolo spettatore figlio unico degli anni novanta, osservavo l’amore dei due fratelli con un senso di invidia e di dubbio. Sebbene i due personaggi si spalleggiassero l’un l’altra nell’elaborazione del lutto io non persi mai la lucidità chiedendo ai miei genitori che mi regalassero un fratellino, consapevole che poi avrei dovuto lottare per la stessa quantità di amore e di eredità con il nascituro.
Ma c’è molto di più. Il film affermava implicitamente qualcosa di sconvolgente: che il bene e il male sono figli della stessa identica fabbrica.
Se infatti prima c’erano solo giochi colorati e simpatici, con l’avvento dello zio, il cattivissimo generale dell’esercito Micheal Gambon (non ancora indossati i panni di Albus Silente), la fabbrica di giocattoli cominciava a ridurre la produzione (anticipando la bolla da surplus economico anni novanta) a scapito di una ben più redditizia corsa agli armamenti.

Ecco, ricordo chiaramente a oltre vent’anni di distanza la scena in cui Leslie si trova a doversi spostare dalla sua cameretta perché la stanza serve per produrre i giochi di guerra.

Sarebbe bello dire che in quel film c’era già tutto: la crisi economica, la realtà aumentata, i visori, i droni bombardieri guidati da bambini-soldato che venti anni dopo avrebbero bombardato l’Afganistan, e lo si può anche dire, seppur non serva a niente.

C’era già tutto.

C’era il mondo che avrei scoperto di lì a poco e il mondo in cui vivo ancora oggi, il mondo in cui bene e male sono figli della stessa fabbrica di giocattoli.

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Postato in: Oceani di autoreferenzialità Tag: Joan Cusak, Micheal Gambon, robin williams Fai un commento

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